Prove di infertilità a 5.000 metri di quota: questione d'ossigeno

La Piramide, laboratorio italiano ai piedi dell'Everest
Vivere per qualche settimana ad alta quota ha un impatto importante sulla fisiologia umana. In passato l’attenzione dei ricercatori si è concentrata sugli aspetti...

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Vivere per qualche settimana ad alta quota ha un impatto importante sulla fisiologia umana. In passato l’attenzione dei ricercatori si è concentrata sugli aspetti respiratori e cardiovascolari, sull’alterazione del sonno, sui cambiamenti della funzione muscolare.

La missione scientifica che rientra in questi giorni dal Nepal, e che ha trascorso un periodo alla Piramide, il laboratorio italiano che sorge ai piedi dell’Everest, a 5.000 metri di quota, ha approfondito anche l’aspetto legato alla fertilità maschile. «L’alta quota, per noi, è un laboratorio naturale per studiare il ruolo dell’ossigeno nei meccanismi fisiologici legati alla riproduzione umana» spiega il professor Vittore Verratti, medico fisiologo dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara, e responsabile scientifico dell’intera missione.

Il professor Vittore Verratti

L’ATTIVITÀ

«Il nostro Istituto si occupa della diagnosi e della cura dell’infertilità, e porta avanti progetti di ricerca sulla riproduzione umana – aggiunge Arcangelo Barbonetti, associato di Endocrinologia all’Università dell’Aquila – Alla Piramide abbiamo condotto analisi biomolecolari sui campioni seminali dei ricercatori che hanno partecipato alla missione. I risultati verranno confrontati con quelli degli analoghi test condotti prima della partenza dall’Italia, e poi a Kathmandu, la capitale del Nepal». Nel 2016, un’altra missione scientifica coordinata dal professor Verratti ha dimostrato che l’ipossia, la riduzione di ossigeno legata all’alta quota, può alterare la membrana cellulare e ridurre la motilità degli spermatozoi, due requisiti cruciali per la capacità fecondante. Anche il Dna potrebbe essere danneggiato.

LA RISPOSTA ORMONALE

L’obiettivo del lavoro di quest’anno, al quale partecipano ricercatori dell’Unità di Genetica Molecolare dell’Università di Chieti, dell’Istituto di Fisiologia Clinica (Ifc-Cnr) di Milano e dell’Uoc di Andrologia della Medicina della Riproduzione dell’Università di Padova, è di comprendere meglio questi meccanismi. La professoressa Francesca Ietta, docente di Fisiologia dell’Università di Siena, indagherà gli aspetti legati alla funzione riproduttiva nelle donne del team, studiando la loro risposta ormonale all’alta quota. L’obiettivo, naturalmente, è di aiutare i pazienti che vivono al livello del mare. «Per oltre il 30% delle coppie con difficoltà di concepimento, la causa sta nell’infertilità maschile. Per molte di loro, il problema sta in una cattiva qualità del seme connessa allo stress ossidativo – spiega il professor Verratti – Oggi disponiamo di numerosi preparati antiossidanti, che potrebbero essere utilizzati per la prevenzione insieme a terapie nutrizionali».

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Il Messaggero