Ogni anno, solo in Italia, nascono circa 3.500 bambini affetti da cardiopatia congenita: quasi la metà, raccontano le statistiche, dovrà subire un trattamento...
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«Il progresso della cardiochirurgia ha fatto sì che attualmente la sopravvivenza dei pazienti sottoposti a trattamento chirurgico sia superiore al 95% - inquadra Lorenzo Galletti, componente del Comitato scientifico di Cuore Domani e vicepresidente della Sicch -. Questo miglioramento, realizzatosi fondamentalmente durante le ultime due decadi, ha riguardato non soltanto difetti semplici ma anche le cardiopatie più complesse. Una delle conseguenze di questo successo è che un numero crescente di cardiopatici congeniti raggiunge l’età adolescenziale e adulta, manifestando sequele di tipo non solo strutturale - che possono essere corrette attraverso un nuovo intervento -, ma anche funzionale, legate ad una progressiva degenerazione miocardica per la quale il trattamento potrà essere solamente sostitutivo o di supporto, mediante trapianto o cuore artificiale». «Per questa ragione è necessario implementare la ricerca – sottolinea Galletti -, fondamentalmente in due direzioni. Da un lato la ricerca clinica per capire se i trattamenti effettuati in età pediatrica siano in realtà adeguati a garantire un buon risultato funzionale a lungo termine, dall’altro la ricerca di base in maniera da comprendere quali meccanismi genetici, cellulari e molecolari, siano responsabili di questa progressiva degenerazione, e se questi possano essere modificati da nuove strategie di trattamento».
«Se vogliamo sconfiggere le malattie cardiovascolari, ancor prima della cura dobbiamo sempre lavorare e considerare la loro prevenzione - spiega Alessandro Parolari, presidente della Fondazione -. Per prevenire dobbiamo conoscere quali sono i meccanismi biologici alla base delle malattie. In alcuni casi si tratta di meccanismi (genetici) che si ereditano dai propri genitori (ad esempio alcune forme di aneurismi dell’aorta o alcune malformazioni valvolari), talvolta la predisposizione genetica non esiste oppure esiste in parte ed è pesantemente influenzata dai nostri comportamenti e dall’ambiente in cui viviamo (inquinamento, ad esempio il fumo di sigaretta)». Prevenzione dunque, ma anche terapie innovative, mini-invasive e transcatetere che consentano di ridurre o addirittura abolire l’incisione chirurgica, teoricamente minimizzando il trauma conseguente alla procedura stessa. «Abbiamo bisogno di una nuova generazione di cardiochirurghi che siano sempre più competenti e preparati in queste tecniche alternative – rimarca Parolari -, e che soprattutto confrontino rischi e benefici di queste procedure, sia per impazienti affetti da cardiopatie congenite che per quelli affetti da cardiopatie tipiche dell’adulto, per poter fornire ai nostri pazienti la soluzione migliore, a minor rischio, e più efficace per il loro problema». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero