Ernia inguinale, la procedura "Angelo Sorge" anche per il suo braccio destro, Gianluca Muto: «Io tra i pazienti»

Ernia inguinale, la procedura "Angelo Sorge" anche per il suo braccio destro, Gianluca Muto: «Io tra i pazienti»
È il braccio destro del capo dell’équipe. Ascolta: La voce come non l'avete mai sentita. Con aneddoti e riflessioni di Luca Ward ...

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È il braccio destro del capo dell’équipe.

L’aiuto chirurgo, prezioso e indispensabile, in sala operatoria. E ha testato su di sé, nel suo reparto, la tecnica per il trattamento dell’ernia inguinale che in questi anni ha fatto scuola. «Nel 2010, ho partecipato alla fondazione del centro specialistico al San Giovanni Bosco, nell’Asl di Napoli», ricorda con orgoglio il dirigente medico Gianluca Muto, che racconta com’è andata: «Nel 2014, mi sono ammalato. E ho vissuto un vero e proprio dramma». Il motivo? «Non tanto per la patologia, anche se ho tentato di ritardare il più possibile la soluzione chirurgica, quanto perché ho dovuto prima trovare qualcuno in ospedale a cui insegnare la procedura per poter programmare la mia operazione». Che è andata bene. «Non ho avuto alcun tipo di complicanze: né recidiva, né dolore cronico. Ho ricominciato subito a camminare, sono tornato a casa e, cinque giorni dopo il trattamento, ho ripreso a lavorare con il collega Angelo Sorge in modo da consentire agli altri pazienti di poter provare lo stesso sollievo».

L’INCIDENTE

Muto ne parla comunque senza celare una punta di amarezza. «Mi sentivo così bene che, solo due settimane più tardi, sono andato anche a sciare a Madonna di Campiglio», svela il retroscena della vacanza finita malissimo. «Due costole rotte in un incidente sulle piste, tremendo e imprevedibile. Solo in quel momento ho rimpianto la lunga convalescenza che era necessaria in passato, prima di introdurre la nuova protesi che ha accelerato la guarigione e quindi portato alla degenza in day surgery, di poche ore». Sospira: «Se fossi stato ancora ricoverato per l’ernia inguinale, non sarei finito al pronto soccorso per motivi ben più gravi».

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Il Messaggero