Ebola, è emergenza: l'Onu nomina uno "zar" per combattere il virus che si diffonde in Congo

Ebola, è emergenza: l'Onu nomina uno "zar" per combattere il virus che si diffonde in Congo
NEW YORK – Sono mesi che continua a falciare vite. I morti sono già 1200, su quasi 1800 casi di contagio. Un tasso di mortalità elevatissimo. Ma l’ebola...

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NEW YORK – Sono mesi che continua a falciare vite. I morti sono già 1200, su quasi 1800 casi di contagio. Un tasso di mortalità elevatissimo. Ma l’ebola è un morbo terribile, e solo una controffensiva ben organizzata può avere la meglio sulla sua diffusione, ed evitare che dalla Repubblica Democratica del Congo il virus balzi nel confinante Sud Sudan, nei campi profughi, e da lì diventi poi inarrestabile. Per questo, le Nazioni Unite hanno nominato giovedì uno “zar dell’ebola”, il diplomatico David Gressly, già specializzato sul Congo, che lavorerà insieme alla comunità internazionale e all’Organizzazione Mondiale della Sanità per rintuzzare questa epidemia, la seconda per gravità da quando nel 2014 il virus esplose nell’Africa dell’est.


Ebola, impennata di casi: ora il virus fa paura

Lo speciale inviato Onu ha riconosciuto che si tratta di una difficile battaglia: «Stiamo lavorando in una zona di difficoltà senza precedenti per una emergenza medica. Abbiamo mancanza di sicurezza e proteste politiche che hanno portato a periodici fallimenti del nostro sforzo di fermare la malattia». I “fallimenti” sono stati spesso sanguinosi: due cliniche da campo di “Medici senza Frontiere” sono state attaccate da ribelli, e un medico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è stato ucciso.
 
 
Il virus è infatti venuto alla luce nel nord est del Congo dove continua una spietata guerriglia di gruppi jihadisti associati a Boko Haram e al Qaeda. Sono aree ricche di minerali preziosi, ma anche terribilmente instabili, teatro di massacri e esodi di massa, dove la popolazione è diffidente di tutto e di tutti. L’arrivo di operatori sanitari stranieri con il vaccino non è sempre stato accolto amichevolmente: sobillati dei jihadisti, molti hanno creduto che i volontari fossero agenti nemici.
 
A differenza del 2014, tuttavia, quando i casi di contagio erano oltre mille alla settimana, questa volta il vaccino esiste, ed ha contribuito a frenare la malattia. La casa produttrice Merk l’ha regalato “a scopi umanitari” sia al Congo che ai paesi circostanti a rischio, il Sud Sudan e l’Uganda.
 
Ma quel che manca questa volta è la guida internazionale. Nel 2014, sebbene criticata per essere intervenuta in ritardo, la Casa Bianca di Barack Obama  stanziò un pacchetto di aiuti di 6 miliardi di dollari, mandò 3 mila soldati e migliaia di infermieri per aiutare Liberia, Sierra Leone e Guinea a superare la crisi. Vennero costruiti ospedali da campo, forniture per depurare l’acqua, apparecchiature igieniche.
 
Questa volta dalla Casa Bianca arriva ben poco: appena dieci esperti di malattie infettive. Il timone dunque è nelle mani dell’Onu e dell’Organizzazione Mondiale della sanità, e ovviamente della comunità internazionale.


Mosoka Fallah, oggi alla Facoltà di Medicina di Harvard, e viedirettore dell’istituto della Sanità della Liberia raccomanda di usare ogni possibile sistema già inventato e utilizzato nella crisi del 2014-2016, e soprattutto raccomanda all’Oms di operare di concerto con la Chiesa Cattolica, che nel Congo conta oltre 35 milioni di fedeli, cioè più della metà della popolazione.

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Il Messaggero