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Dal fronte della pandemia ieri è arrivata una notizia importante: per la prima volta dall’apparizione del Covid-19 la Lombardia ha perso lo scettro della regione italiana più colpita e lo ha passato alla Campania. Ieri infatti risultavano 94.089 positivi in Campania e 85.066 in Lombardia. In seconda posizione ora c’è il Veneto con 88.132 casi e in terza il Lazio in lieve calo a quota 87.318 dagli 88.193 di venerdì.
La novità è figlia delle caratteristiche della seconda ondata “made in Italy” che a differenza di quella di marzo-aprile non ha colpito solo il Nord.
Ma proprio questo avvenimento fa sorgere una domanda di quelle strategiche: se a marzo abbiamo chiuso tutta l’Italia perché il sistema ospedaliero del Sud non avrebbe retto, adesso le Regioni meridionali come stanno andando?
Una mappatura compiuta è ancora impossibile ma una cosa è già sicura: si può tirare un mezzo sospiro di sollievo. Infatti, nonostante l’enorme affanno registrato a novembre dagli ospedali in tutt’Italia (il 14 i medici di Bolzano lanciarono un drammatico appello a non recarsi nei pronto soccorso) il sistema medico-ospedaliero del Sud ha miracolosamente retto e in alcuni casi sta anche facendo meglio di quelli del Nord.
FRA NOVITÀ E MIRAGGI
Le prove? Le prime vengono offerte da alcune tabelle pubblicate sul sito dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
Che c’è di vero dietro queste cifre? Il dubbio che siano “miraggi statistici” è forte. «Un bilancio si potrà fare solo a bocce ferme - risponde l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco che da qualche settimana è assessore alla Sanità della Puglia - Tuttavia, fra mille guai e nonostante il Sud parta staccato del 25/30% sul Nord, la rete sanitaria del Mezzogiorno sta reggendo perché quest’estate abbiamo messo fieno in cascina. Mi piace dire che a ottobre ero più preoccupato di oggi».
Lopalco è alle prese con una ostinata resistenza del virus nella sua Puglia che ha portato gli infetti dai 42.500 del 4 dicembre ai 51.200 di ieri. I ricoverati però sono stazionari: erano 1.596 il 4 dicembre sono 1.587 oggi. «Il fatto è che da noi la sanità è ridotta all’essenziale - spiega ancora Lopalco - Altrove talvolta scappa il lusso di qualche ospedalizzazione non indispensabile. Noi no. In terapia intensiva invece non ci sono trattamenti diversificati».
Fatto sta che anche sulle rianimazioni (che costano 1.000 euro al giorno) le differenze statistiche non mancano. In Campania, ad esempio, i letti “intensivi” occupati sono appena 137, il che significa 1 ogni 42.000 abitanti contro i 330 del Veneto che equivalgono a 1 ogni 15.000 abitanti.
Perché? Si sa che in Piemonte la Regione usa una quota di terapie intensive per accelerare le guarigioni. Ma un fattore importante che sta aiutando il sistema sanitario del Sud è l’età media, che nel Mezzogiorno è più bassa. La Campania veleggia a quota 42,5 anni contro i 45,4 dei veneti. Questo dato incide anche molto sulla mortalità, anch’essa assai favorevole al Sud: 40 decessi ogni 100.000 abitanti in Sicilia contro i 235 della Lombardia o i 160 del Piemonte. «C’è molta materia di studio - chiosa Lopalco - però possiamo dire che il virus cambierà la storia sanitaria italiana anche sul fronte dei giudizi facili».
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Il Messaggero