Covid19 a Roma e nel Lazio, fase due: ecco il piano con visite e tamponi a domicilio

Le hanno chiamate Unità speciali, saranno formate da due medici e due infermieri. Nella gestione della delicatissima “fase due”, a Roma e nel resto del Lazio...

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Le hanno chiamate Unità speciali, saranno formate da due medici e due infermieri. Nella gestione della delicatissima “fase due”, a Roma e nel resto del Lazio saranno sguinzagliate nei quartieri e nei paesi per intercettare a domicilio i pazienti sospetti, quelli più fragili con patologie pregresse come l’ipertensione. Dovranno monitorare chi è in isolamento a casa o in hotel perché contagiato da Covid-19. E andranno anche nelle residenze sanitarie assistenziali, le strutture riservate agli anziani più a rischio, dove in queste settimane si sono sviluppati numerosi focolai. L’obiettivo è avere almeno 30 squadre speciali, qualcuno le ha chiamate “squadre Spallanzani” e dipenderanno direttamente dalla Unità di crisi diretta dall’assessore regionale Alessio D’Amato


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FUORI DAGLI OSPEDALI
In sintesi: la politica anti Covid-19 del Lazio, riassunta in un documento firmato dall’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, e dal direttore del settore, Renato Botti, punta a portare fuori dagli ospedali la battaglia contro l’epidemia. Sia chiaro: i cinque Covid-hospital aperti solo su Roma (arriverà il sesto al Celio) non smobiliteranno, anzi continueranno ad avere un ruolo centrale coordinato dallo Spallanzani, e resteranno operativi i 400 posti aggiuntivi di terapia intensiva. Ma se si vuole fermare il contagio, anche quando si potranno socchiudere le porte delle nostre case, sarà necessario andare a fermare i nuovi focolai sul nascere e seguire con attenzione i casi acclarati o sospetti, anche a domicilio.

Il documento del Lazio (che ieri ha raggiunto quota 4.583 casi positivi) parla di «funzione proattiva per i pazienti fragili». Cosa significa? «Saranno create delle Unità speciali di continuità assistenziale regionale per Covid-19». L’acronimo è Uscar e saranno formate da due medici e due infermieri, che saranno arruolati su base volontaria tra il personale in servizio ma attingendo anche da laureati in medicina se dovesse servire. Avranno una strumentazione complessa: tamponi, provette per il prelievo, borse mediche con ossimetro, test rapidi e dispositivi di protezione. Interverranno in situazioni di emergenza, in particolare su residenze sanitarie assistite con focolaio in corso. Obiettivo: fermare il contagio prima che diventi inarrestabile ogni qual volta si manifestino nuovi cluster. Le squadre dovrebbero essere pronte già tra due settimane. A queste si aggiungeranno le Api, (assistenza proattiva infermieristica), con attività a domicilio: 580 infermieri (in questo caso neo assunti attingendo dalle graduatorie) che avranno, tra l’altro il compito di tenere sotto sorveglianza le persone più a rischio per Covid-19.

Sono coloro che hanno un’età superiore a 60 anni, un ricovero negli ultimi due anni, con una delle seguenti patologie: scompenso cardiaco, ipertensione, altre patologie cardiache, diabete, Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva), insufficienza respiratoria o asma, insufficienza renale cronica, neoplasia attiva o in follow up. Tra gli strumenti utilizzati per questa forma di vigilanza lontano dagli ospedali, ci sono anche la app Lazio Doctor per Covid, la telesorveglianza e i test a domicilio.

 



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Il Messaggero