Da due giorni, sulla Torre 4 dell'ospedale papa Giovanni XXXIII di Bergamo, campeggia il grande murale di una dottoressa che culla l'Italia. È qui l'ultimo...
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Dottore, cosa è successo a Bergamo?
«In realtà tutto è partito dal focolaio della bassa Val Seriana, ad Alzano e a Nembro ha cominciato a circolare sotto traccia prima che venisse registrato il primo caso. Per due, tre settimane il contagio si è diffuso indisturbato, senza che a nessuno sorgesse il sospetto. Ora il virus è in ogni angolo della provincia».
E voi siete in prima linea.
«Ogni giorno arriva un centinaio di persone, 50-60 vengono ricoverate. In terapia intensiva abbiamo 70 pazienti, continuiamo ad aggiungere posti e nelle prossime ore ne potremo già accogliere 80. Per fortuna ci sono anche le dimissioni, una trentina al giorno: non tutti i pazienti tornano a casa, un terzo di loro viene spostato in altri reparti».
Purtroppo ci sono anche tanti morti: 146 in tutto, da ieri al cimitero c'è una sepoltura ogni mezz'ora.
«È molto triste. La camera mortuaria della città è satura, per accogliere le vittime sono state aperte le porte delle chiese. E questa situazione è doppiamente triste, perché non riguarda solo l'elevato numero di decessi ma è un problema spesso connesso con i familiari. I parenti di chi è morto sono a loro volta contagiati dal virus, non c'è nessuno che può occuparsi del trasporto della salma e organizzare i funerali. Abbiamo chiesto e ottenuto l'appoggio dei cimiteri: le casse chiuse possono rimanere lì in attesa delle esequie».
L'epidemia di coronavirus impressiona anche un infettivologo con la sua esperienza, dottore?
«Un contagio simile si è visto in Italia e in Europa solo con la spagnola, che ha avuto il medesimo impatto per rapidità come è avvenuto a Lodi e nella bergamasca. Noi siamo passati in tre settimane da zero a 400 casi. Devo dire però che ho una carriera sufficientemente lunga alle spalle per aver vissuto l'epoca dell'Aids: ecco, per ampiezza di diffusione il coronavirus è molto simile. Con la differenza che in questo caso c'è anche la velocità del contagio: il 23 febbraio abbiamo registrato il primo caso, in due giorni abbiamo preparato e subito riempito 48 letti nel reparto di malattie infettive. Tutti quadri clinici con polmoniti e grave insufficienza respiratoria».
Così l'ospedale ha cominciato a crescere.
«Da ventuno giorni aggiungiamo letti, e il giorno dopo altri ancora. Il reparto di Neurochirurgia è vuoto e pronto ad accogliere altri quarantotto contagiati. Ora disponiamo nel complesso di 400 posti in tutto l'ospedale dedicati ai pazienti affetti da coronavirus e tutti sono occupati. Ricaviamo spazio ovunque, sfruttiamo anche le sale operatorie sotto utilizzate. In questo momento la priorità è combattere l'infezione».
Il Messaggero