Coronavirus. Italiani in isolamento, psicologi: «Uno su due soffre perché non ha relazioni sociali»

Coronavirus. Italiani in isolamento, psicologi: «Uno su due soffre perché non ha relazioni sociali»
Come stanno gli italiani dopo oltre un mese di isolamento? Quali sono i maggiori problemi psicologici che hanno dovuto affrontare per il coronavirus e che devo ancora vincere?...

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Come stanno gli italiani dopo oltre un mese di isolamento? Quali sono i maggiori problemi psicologici che hanno dovuto affrontare per il coronavirus e che devo ancora vincere? Alcune risposte le troviamo in un'indagine effettuata dall’Istituto Piepoli per il Consiglio Nazionale dell’Ordine Psicologi.


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Le limitazioni che pesano di più sono: non potersi relazionare con le persone al di fuori della casa (51%); aumento disagio psicologico (31%); non poter fare sport all’aria aperta (27%); non avere tanti spazi a disposizione (24%); non poter andare al lavoro (20%); dover convivere forzatamente (9%). Indica “altro” il 4% mentre il 6% non vuole rispondere.

Sollecitati sugli eventuali aspetti positivi dell’isolamento forzato, gli intervistati rispondono:
«ho più tempo da dedicare alla mia famiglia» (49%); «ho più tempo da dedicare a me stesso»(34%); «sto leggendo libri» (25%); «sto imparando a cucinare» (12%); «sto seguendo dei corsi di lingua on line» (5%); «non penso ci siano aspetti positivi» (18%). In generale l’emergenza ha aumentato i livelli di disagio psicologico di 7 italiani su 10, soprattutto tra le donne e le persone comprese tra i 35 ed i 54 anni di età. Il 42% degli italiani lamentano problemi di ansia, il 24% disturbi del sonno; il 22% irritabilità; il 18% umore depresso; il 14% problemi e conflitti relazionali; il 10% problemi alimentari; e solo il 28% dice di non aver nessun problema o disagio.


«Questi dati parlano da soli: l’emergenza sanitaria - commenta David Lazzari, presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi -diventerà sempre di più un’emergenza psicologica. Se non vogliamo che questi problemi si traducano in disturbi più gravi o alimentino effetti collaterali, come malattie fisiche o forme di disagio lavorativo e sociale diffuso, è necessario che le Istituzioni rendano disponibili alla popolazione le risposte scientificamente più appropriate, che sono strategie e interventi psicologici. I cittadini debbono trovare nella sanità pubblica - dagli studi dei medici di famiglia sino agli ospedali - nei luoghi di lavoro, nei servizi sociali, gli psicologi che possono pianificare e attuare questi interventi. Oggi i colleghi presenti nelle strutture pubbliche sono davvero troppo pochi e l’80% delle persone, se non si provvede, non avrà alcun aiuto appropriato». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero