Coronavirus, l'infettivologo Sanguinetti: «Malati meno gravi per effetto del lockdown»

«L'unico dato davvero incoraggiante che abbiamo riguarda la riduzione dei ricoveri in terapia intensiva. Perchè se guardiamo al dato dei nuovi contagi, è...

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«L'unico dato davvero incoraggiante che abbiamo riguarda la riduzione dei ricoveri in terapia intensiva. Perchè se guardiamo al dato dei nuovi contagi, è evidente che dobbiamo ancora insistere». Questo è il commento di Maurizio Sanguinetti, direttore del Dipartimento Scienze di laboratorio e infettivologiche del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e docente ordinario di microbiologia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, relativo all'ultimo bollettino presentato ieri dalla Protezione Civile.


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Professore, qual è il motivo per cui continuano a calare i ricoveri in terapia intensiva nonostante abbiamo ancora un numero elevato di nuovi contagi?
«Su questo possiamo fare solo delle ipotesi. Ad esempio è possibile che il blocco delle attività e il distanziamento sociale abbiano ridotto anche la quantità di virus circolante. Quindi, in caso di contagio, grazie a una quantità di virus inferiore, ci troviamo di fronte a casi di minor gravità. Di conseguenza abbiamo anche un minor numero di casi che hanno bisogno di cure più importanti che richiedono il ricovero in terapia intensiva».

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Quali altre ipotesi possiamo fare?
«Un'altra ipotesi potrebbe riguardare il fatto che nelle aree dove il virus ha circolato di più, molte delle persone più a rischio abbiano già sviluppato la malattia e che quindi siano già passate in terapie intensiva. Alcune sono riuscite a guarire, mentre molte altre purtrppo non ce l'hanno fatta, Inoltre, non è esclusa neanche un'altra teoria, quella secondo cui abbiamo raggiunto un punto in cui i protocolli terapeutici, pur non essendo validati da studi canonici, cominciano ad avere effetti positivi. Specialmente quelli somministrati precocemente, cioè tutti quei trattamenti che alla fine possono aiutare ad evitare la necessità di un ricovero in terapia intensiva».

Meno pazienti ricoverati significa anche cure di maggior qualità?
«Sì, è inevitabilmente così. A un certo punto la situazione in Lombardia è stata davvero così insostenibile che i medici si sono ritrovati probabilmente a gestire tantissimi pazienti gravi con mezzi limitati».

Che senso ha continuare a restare in quarantena se, nonostante questo enorme sacrificio, i nuovi contagi continuano a rimanere alti?
«Perchè la quarantena al momento è l'unica strada percorribile. Non possiamo assolutamente permetterci di mollare e dobbiamo insistere. Dobbiamo pensare che senza questa quarantena i contagi sarebbero stati quasi sicuramente molti di più. E con essi sarebbero stati di più anche morti. Non abbiamo alternative, bisogna continuare con le misure restrittive».

I test sierologici su cui molte regioni stanno puntando potranno aiutarci a ripartire?

«Questi test sono utili a fini epidemiologici. In altre parole ci consentiranno di capire quale parte della popolazione ha sviluppato un'immunità contro il coronavirus. Ma dobbiamo tener presente che avranno dei limiti. Non sappiamo quanto è forte questa immunità e ancora di più non sappiamo la sua durata. Potrebbe durare qualche anno, dopodichè si diventerebbe di nuovo suscettibili all'infezione. L'unico modo per scoprirlo sarà quello di aspettare e vedere cosa succede con i primi casi in Cina».

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Il Messaggero