Coronavirus, le giravolte sulle mascherine: prima inutili e ora obbligatorie

Mask or not to mask, indossare la mascherina o non usarla: tre settimane fa il South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong, titolò così un servizio sulla...

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Mask or not to mask, indossare la mascherina o non usarla: tre settimane fa il South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong, titolò così un servizio sulla confusione globale sull’uso delle mascherine contro il Coronavirus. Pubblicò anche una vignetta con una ragazza asiatica che rimproverava un occidentale perché era senza mascherina. Era un modo anche per raccontare come l’Organizzazione mondiale sella sanità, su questo tema, da quando è cominciata la pandemia del Covid-19, ha avuto posizioni contraddittorie: prima ha spiegato che non servivano, perché non proteggevano, poi nelle ultime settimane ha fatto una inversione a U, dicendo che sono utili.


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L’Oms in qualche modo si adeguata alla tesi di gran parte dei paesi asiatici che, sarà un caso e non ci sono prove che vi sia un rapporto di causa ed effetto, hanno tenuto maggiormente sotto controllo l’epidemia. Lo stesso andamento ondivago dell’Oms si è avuto in Italia, con le indicazioni iniziali di Ministero della Salute, Istituto superiore di sanità, Protezione civile: ci hanno detto che non servivano, perché quelle più semplici, le chirurgiche, non proteggono dal contagio chi le indossa ma evitano solo che sia lui a diffondere le droplets, le goccioline, e dunque a infettare altri. Qualcuno ribatteva: se in un luogo ci sono dieci persone e magari una di loro, inconsapevolmente, è all’inizio della malattia, se tutti hanno la mascherina si riduce la possibilità che il malato inconsapevole contagi gli altri. Fu inutile.

C’è un elemento su cui riflettere: i primi due pazienti trovati positivi in Italia, la coppia di turisti di Wuhan, secondo alcune testimonianze nel loro viaggio in Italia avevano sempre la mascherina. Bene, di tutti i contatti ricostruiti dopo il loro ricovero - autista, camerieri, impiegati dell’hotel - nessuno è risultato positivo. Allora si disse anche che era sconsiderato indossare le mascherine, perché non ce n’erano a sufficienza per tutti. In Asia era più semplice trovarle perché sia per un raffreddore, sia per proteggersi dalle polveri sottili, si usano comunemente. Nel resto del mondo, no, per cui era giusto lasciare questi dispositivi di protezione (soprattutto quelle più complesse, le Fp1 e le Fp2) al personale sanitario. Ma a causa delle prime indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’Italia (così come molti altri paesi occidentali) a inizio pandemia non ha pensato di acquistare grandi quantitativi di mascherine e, fino all’altro giorno, anche nelle conferenze stampa ufficiali della protezione civile si ripeteva: non servono se c’è il distanziamento sociale. Ma quando vennero i primi medici dalla Cina in aiuto dei colleghi italiani era evidente nelle manifestazioni pubbliche la differenza: gli specialisti asiatici con la mascherina, quelli italiani no. 

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Oggi tutto è cambiato: varie regioni e molti sindaci le hanno rese obbligatorie per uscire, nella fase due lo saranno in tutto il Paese, ci sono ancora indicazioni non chiare - solo nei luoghi chiusi o anche all’aperto -, si dibatte se fissare un prezzo al pubblico calmierato, il commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, ha annunciato che oggi tutte le regioni ne hanno a sufficienza e che ne saranno prodotte anche in Italia. Oggi chi va al supermercato difficilmente vede persone senza mascherine. Non è possibile, ma sarebbe bello potere fare un “cosa sarebbe successo se”: ecco, come sarebbe andata la diffusione del virus se già a febbraio fosse stato quanto meno suggerito agli italiani di indossare le mascherine nei luoghi pubblici?

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Il Messaggero