Coronavirus. Mentre a livello mondiale aumentano i casi di Covid-19, i rischi maggiori derivano dalla nascita di nuovi focolai sul territorio: prioritàv perciò...
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LA RIFLESSIONE
I nuovi focolai, spiega Galli, «sono una eventualità tutto sommato attesa. Non ci si poteva illudere che riaprendo non sarebbe successo più nulla. Tuttavia ciascuno di essi va considerato con la massima attenzione ed è fondamentale il loro rapido contenimento. A questo fine è assolutamente necessario il potenziamento della medicina territoriale e della capacità di identificare e circoscrivere rapidamente i focolai risalendo la catena di contatti». Il punto, sottolinea l'infettivologo all'Ansa, è che «su 100 persone infettate da SarsCov2, 90 hanno una limitata capacità di trasmettere l'infezione mentre gli altri 10 infettano e tra loro ci sono dei veri e propri super-diffusori.
Ed i luoghi affollati e chiusi «facilitano la dispersione del virus da parte dei super-diffusori, che sono di regola inconsapevoli di esserlo e spesso completamente asintomatici». Tra le armi da utilizzare, oltre al distanziamento fisico e le mascherine, fondamentali sono dunque secondo Galli i test rapidi per la diagnosi: «Io sono un fautore dell'utilizzo dei test rapidi, soprattutto nell'ottica della ripresa delle attività delle aziende, delle scuole e in tutti gli ambiti che prevedono numerose persone riunite a lungo in spazi condivisi. Anche perché - spiega - per quanto ci si possa impegnare sul versante del distanziamento, alcune condizioni sono complesse da gestire».
GLI AMBIENTI
Un esempio è la scuola: «Abbiamo aule che sono quello che sono e difficilmente saranno qualcos'altro a settembre. Anche se si riuscisse a tenere i ragazzi distanziati in classe, continuerebbero comunque a stare insieme all'ingresso, all'uscita o alla ricreazione. Sarebbe bene ragionare anche - è la proposta di Galli - sulla possibilità di seguire questi ragazzi con dei meccanismi di valutazione nel tempo. Che potrebbero comprendere pure i pungidito, da ripetere periodicamente». Vanno però considerati tutti i limiti del caso: «Gli anticorpi compaiono nel sangue nella maggioranza dei casi non prima di 10-12 giorni dai sintomi e negli asintomatici una ventina di giorni dall'avvenuta infezione. I kit rapidi non possono quindi identificare subito nuove infezioni, ma possono avvertirti - rileva - se nella popolazione è cambiato qualcosa e consentire di attivare una campagna di indagine più approfondita». Dunque, prosegue l'esperto, «confido che presto possano essere sviluppate nuove metodiche rapide che sostituiscano di fatto il tampone 'classicò, dicendo in pochi minuti, su campioni di saliva o con un tampone fatto sul posto, se una persona ha il virus o no». In vista della stagione invernale, che «porterà sindromi influenzali e condizioni cliniche che possono mimare quelle della Covid, avere un test rapido che consenta di discriminare tra le diverse condizioni sarebbe di grande aiuto». Inoltre, la «ripetizione periodica 'miratà di questi test consentirebbe la precoce individuazione di nuovi focolai». Purtroppo, osserva, «in vari casi è passata l'idea che i test rapidi siano meno affidabili di quelli da prelievo venoso ma devo dire che mi è talvolta capitato di osservare l'opposto».
Il Messaggero