Mettiamo in fila dieci italiani e chiediamo quanti hanno cambiato le abitudini quotidiane da quando è scoppiata l'emergenza Covid. Ebbene, solo sei alzano la mano e...
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Ha dato risultati sorprendenti, proprio ora che si teme una recrudescenza del virus, uno studio del centro di ricerca dell’Università Cattolica - condotto con un sondaggio con metodo CAWI (Computer Assisted Web Interview) su un campione di 1000 italiani. «La percentuale di persone che è riluttante a cambiare le proprie regole di vita è molto elevata - commenta Guendalina Graffigna, docente di Psicologia dei consumi e direttore del centro di ricerca EngageMinds HubUB - Abbiamo evidenziato la problematicità dell’adattamento alle regole ancora necessarie. Indossare la mascherina, igienizzarsi spesso le mani e rispettare il cosiddetto distanziamento sociale».
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Sono soprattutto uomini ad avere difficoltà: 43% contro il 38% medio complessivo, soprattutto nella fascia tra i 18 e i 34 anni, residenti al sud e nelle isole e con un reddito di livello medio. E tra coloro che hanno un titolo di studio elevato (laurea o oltre), la quota sale al 49%. La ricerca dell’EngageMinds HUB ha incrociato il risultato con altri segnali psicologici. Quelli che percepiscono un rischio di contagio mostrano maggiore problematicità ad adattarsi rispetto alla popolazione generale. Sembra un paradosso ma è così.
«Il dato che attribuisce alle persone più spaventate dal rischio una maggiore refrattarietà ad adottare comportamenti di protezione - continua la docente - mettono in luce la complessità psicologica delle reazioni degli italiani alle prescrizioni preventive. Gran parte degli approcci tradizionali alla comunicazione ha puntato sull’emozione della paura quale leva principale per sensibilizzare ad un cambio comportamentale. Tuttavia, come abbiamo rilevato, il processo di educazione e sensibilizzazione è molto complesso sul piano emotivo e psicologico. Soprattutto per le fasce della popolazione più giovani e culturalmente più evolute. In questo caso spaventare o assumere toni troppo punitivi e severi può generare l’effetto opposto, di chiusura e di disattenzione. Al contrario veicolare una comunicazione che fa diventare le persone protagoniste nella gestione della propria salute può risultare più efficace». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero