Anche le donne hanno un diavolo per capello: sempre di più soffrono di alopecia

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Immaginate un rigoglioso salice piangente che lentamente inizia ad avere le foglie più sottili: la funzione primaria di fare ombra si riduce al minimo e il sole le trapassa. Allo stesso modo i capelli non coprono più alcune zone non perché ce ne siano di meno, ma perché sono diventati troppo sottili». Con questa metafora il medico chirurgo, dermatologo e tricologo Francesco Tassone, responsabile del servizio di tricologia del Policlinico Gemelli di Roma, spiega cosa succede quando nelle donne i capelli si diradano e assottigliano. In termini medici si chiama alopecia androgenetica, ma nell’uso comune viene definita calvizie. Se negli uomini si è sempre notata, nelle donne negli ultimi tempi è un fenomeno in crescita costante. Secondo le ultime statistiche, infatti, in Italia ne soffrono oltre quattro milioni, circa una su quattro. Solitamente l’alopecia femminile si manifesta con la perdita di capelli nella parte superiore e centrale della testa, corrispondente alla riga in mezzo: comincia con un assottigliamento del bulbo, che ne causa la scomparsa e l’area comincia a diradarsi.

LA SCALA

Per misurarne l’avanzamento esiste la scala Ludwig che valuta l’alopecia in discreta, moderata o severa. «Entro i 40 anni – precisa Tassone – la percentuale è del 20-30%. Se invece si considerano le donne post menopausa si arriva anche al 40%-50%. Spesso è in una forma minima, tanto che alcune non si rivolgono al dermatologo perché la considerano trascurabile, però nel mio ambulatorio tricologico vengono più donne che uomini: sono le pazienti a cui il problema preme maggiormente, anche se nell’uomo è più frequente». Per capire quando intervenire esistono indagini mediche che non devono mai essere demandate: «Bisogna sempre fare riferimento allo specialista, invece i pazienti troppo spesso si rivolgono ad altre figure prima di contattare il medico tricologo. Con la visita tricologica si può effettuare la tricoscopia che osserva al microscopio il diametro del fusto del capello, dove può esistere una miniaturizzazione non evidente a occhio nudo». La tricoscopia è in grado di calcolare se il 20% dei capelli si è assottigliato e se il fusto ha un diametro ridotto: è partendo da qui che si formula la diagnosi. Possono esistere diverse concause per la calvizie femminile: l’ovaio policistico, problematiche ormonali o metaboliche che possono unirsi tra loro come la tiroide. «A quel punto – sottolinea il dermatologo – la paziente deve essere seguita anche da un endocrinologo o da un ginecologo che può consigliare la pillola anticoncezionale a base di un ormone progestinico, quale ausilio alla terapia dermatologica». È su una specifica e fondamentale questione che Tassone non transige: evidenziata la alopecia androgenetica si deve curare per tutta la vita. «Non si può fare un tentativo per tre mesi, perché i primi risultati si vedono dopo sei mesi. È un problema cronico e le terapie funzionano fino a quando vengono portate avanti». L’eccesso di ormoni maschili a lungo considerato il vero imputato della calvizie femminile, sembra non essere più il principale indiziato: lo conferma un numero crescente di studi guidati da un report dell’Androgen Excess Society e l’Associazione medici endocrinologi. «Le donne che subiscono problemi di perdita di capelli - dice Mauro Conti, direttore scientifico di Hairclinic, centro specializzato in Medicina Rigenerativa Multidisciplinare - presentano generalmente un tasso di ormoni androgeni del tutto nella norma. Il vero problema, piuttosto, è da ricercarsi nelle zone del cuoio capelluto che sono ipersensibili al diidrotestosterone un ormone derivato dal testosterone».

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Il Messaggero