I afrmaci biosimilari rappresentano un'opportunità per la razionalizzazione della spesa farmaceutica e per il potenziamento dell'accesso alle cure per un numero maggiore...
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Presenti in Italia dal 2007 sono farmaci comparabili in termini di efficacia e sicurezza ad un farmaco biotecnologico già in commercio il cui brevetto è scaduto, ma hanno un utilizzo molto diverso tra le varie regioni. Se ne è parlato a Roma in occasione dell'incontro “ II biosimilari , best practice esperienze a confronto” promosso da Sandoz con la partecipazione di farmacologi, ematologi e nefrologi.
In particolare, guardando i dati nel Lazio, la terapia dell'anemia con l'epoetina biosimilare ha una penetrazione dell'8% molto più bassa rispetto alla emdia di utilizzo in Italia apri al 22%. Altro farmaco disponibile anche come biosimilare è il G-CSF (ormone della crescita) che si ferma al 24% rispetto alla emdia italiana del 48%.
«Nel corso del 2014 nella Asl Roma D si è cercato di sensibilizzare i clinici con varie forme di comunicazione e diffusione della relativa letetratura esistente, stimolandoli ad un più frequente ricorso ai biosimilari, che rappresentano un'opportunità preziosa di razionalizzazione delle risorse a fronte di una completa sovrapponibilità terapeutica» spiega Roberta Di Turi, direttore Farmacia ospedaliera e Assistenza territoriale Asl Roma D.
Una delle aree terapeutiche, nella quale sono oggi utilizzati i farmaci biosimilari, è la nefrologia, ed in particolare l'area della cura dell'anemia connessa all'insufficienza renale. «I farmaci biotecnologici e i loro successori biosimilari hanno rappresentato una terapia risolutiva dell'annoso problema dell'anemia, cambiando lo status fisico dei nostri pazienti, che non dovevano sottoporsi a frequenti e pericolose trasfusioni migliorando la qualità di vita» aggiunge Massimo Morosetti direttore Nefrologia e dialisi ospedale Grassi di Ostia. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero