Svolgere anche solo semplici attività quotidiane di routine per un malato di Alzheimer col passare del tempo può diventare sempre più proibitivo. Ecco...
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LA RIVISTA
Grazie ad uno studio finanziato dalla Alzheimer's Drug Discovery Foundation (Addf), i ricercatori italiani hanno individuato gli effetti positivi della rotigotina, un farmaco comunemente utilizzato per pazienti con morbo di Parkinson, sulle funzioni cognitive nei pazienti con malattia di Alzheimer lieve o moderata. I risultati della ricerca Effects of Dopaminergic Therapy in Patients with Alzheimer's Disease è stata da poco pubblicata sulla rivista scientifica Jama Network Open. «Siccome la dopamina è un importante neurotrasmettitore che controlla la plasticità cerebrale ed è in qualche modo correlata alla memoria e all'apprendimento - spiega Giacomo Koch, neurologo e direttore del laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale della Fondazione Santa Lucia, che ha condotto lo studio in collaborazione con Alessandro Martorana, neurologo dell'Università di Roma Tor Vergata - sarebbe interessante verificare cosa succede se noi andiamo a somministrare questi farmaci nelle fasi prodromiche della malattia, quando ancora i sintomi sono ancora sfumati, per verificare se aumentando questa plasticità si possa contrastare lo sviluppo della malattia». E ottenere così un effetto ancora più consistente dal punto di vista clinico. «Quello che abbiamo osservato finora è importante per alcune funzioni cognitive, il miglioramento si traduce comunque in una maggiore autonomia».
PLACEBO
Lo studio, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, ha coinvolto 94 pazienti di età compresa tra 55 e 83 anni con malattia di Alzheimer da lieve a moderata, ai quali è stato somministrato off label il farmaco rotigotina oppure un placebo, per 24 settimane, in aggiunta al trattamento standard. Il prossimo passo però è quello di provare a capire se è possibile rallentare il progredire dei sintomi. Ma servirà tempo. «Potrebbe succedere ma non lo sappiamo - rimarca Koch, che insieme al suo team ha iniziato a studiare gli effetti di questo farmaco già dal 2009 -. Per ora sappiamo che i pazienti trattati peggiorano molto meno rispetto agli altri. Puntando sulla trasmissione dopaminergica in trattamento precoce, quando le funzioni cognitive correlate all'attività del lobo frontale e quelle di vita quotidiana dei pazienti sono solo lievemente compromesse - conclude - si potrebbero così scoprire nuove opzioni terapeutiche per ritardare l'insorgenza della demenza di Alzheimer».
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Il Messaggero