Finalmente, alle prime avvisaglie autunnali, il grande momento, consacrato da un frettoloso messaggio di Wilde all'ex amante Robert Ross: Mio caro Robbie, Bosie ha insistito...
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Alfred si faceva venerare, culto ormai di Wilde, che lo ribattezzò il giovane Domiziano. Un nome imperiale per un amante che ora poteva chiedergli o estorcergli, qualunque cosa. Salvo la fedeltà. Un giorno Bosie gli mandò alcuni suoi versi e Oscar, che si trovava in vacanza, estasiato gli rispose.
Erano entrambi, il maestro e l'allievo, al di sopra dei pregiudizi borghesi e di una morale stantia e farisaica. L'adulterio non comprometteva un'unione, anzi: una comunione che aveva, o doveva avere, ben altri capisaldi e collanti: la consonanza dei cuori, l'amore per l'arte, l'edificante soggezione al bello. I piaceri della carne dovevano essere fine a se stessi: un'emissione di umori biologici. Una liberazione: non un'ascesi.
Ecco allora Oscar Wilde e Bosie abbandonarsi separatamente, paganamente, spensieratamente a gioiosi amplessi occasionali e mercenari. Wilde che aveva scelto di vivere in albergo per essere più libero, ed evitare, o limitare, pettegolezzi e riprovazioni. Riceveva nella propria suite quelli che oggi si chiamerebbero ragazzi di vita, come molti pederasti troppo raffinati, si sentiva attratto dai figli degeneri del popolo, dalla feccia umana, irretito da un fascino turpe.
Wilde era al corrente delle avventure e avventurette di Bosie. La coppia si scambiava disinvoltamente e cinicamente i partner. Un gioco eccitante, ma anche temerario. Nel febbraio del 1897, il giovane Queensberry passò a Oscar un virgulto diciassettenne, Alfred Wood, che Wilde invitò prima a cena, poi nell'accogliente alcova. S'incontravano con frequenza finché un giorno Douglas regalò al giovane alcuni abiti smessi, dimenticando nelle tasche alcune lettere di Oscar.
Munificenza incauta. Wood fiutò l'affare e mandò la copia di una, la più compromettente, a un amico dell'irlandese. Se questi non avesse riscattato il pruriginoso epistolario con una congrua somma di denaro, l'ingrato virgulto l'avrebbe resa di pubblico dominio. Un odioso ricatto anche perché il messaggio la diceva lunga sui rapporti fra maestro e allievo.
«Ragazzo mio si leggeva il tuo sonetto è squisito. È una meraviglia che quelle labbra di rosa debbano essere fatte per la musica della poesia non meno che per la follia dei baci. La tua piccola anima dorata cammina fra passione e poesia. Io so che Giacinto, così follemente amato da Apollo, eri tu ai giorni della Grecia. Quando sarai solo a Londra? E quando andrai a Salisbury? Va' a rinfrancare le tue mani laggiù nel grigio crepuscolo delle cose gotiche, e vieni qui ogni volta che vorrai Sempre, con amore imperituro, il tuo Oscar».
Una dichiarazione delicata e ardente, che avrebbe fatto inorridire i seriosi e codini vittoriani. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero