L'egoismo è la più funesta delle maledizioni

L'egoismo è la più funesta delle maledizioni
William Shakespeare, nel Macbeth, paragona la vita a un'ombra che cammina, a un povero attore che si pavoneggia sulla scena per un'ora, e poi non si ascolta più:...

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William Shakespeare, nel Macbeth, paragona la vita a un'ombra che cammina, a un povero attore che si pavoneggia sulla scena per un'ora, e poi non si ascolta più: una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furia, che non ha senso alcuno.


Forse sarà così, visto che molti secoli fa, giudicò la vita il genio di Stratford-upon-avon, che a soli cinquantadue anni si congedò dal mondo. Un mondo che per lui non ebbe né segreti né misteri.
Forse non siamo che dei buffoni, delle marionette, senza un burattinaio, incapaci di prendere decisioni, ma capacissimi di scelte dissennate.

Ma a tutto questo dobbiamo opporci. Non conta ciò che siamo. Non importa chi ci ha condannato all'impotenza, scaraventandoci su un atomo in balia di altri atomi.

C'è (lo sento), e ci sarà sempre in noi, una scintilla celeste e arcana, che niente e nessuno potrà mai spegnere.
Grazie a questa scintilla che c'illumina la mente, ci riscalda il cuore, ci ravviva lo spirito, noi poveri attori leveremo gli occhi al cielo, e contemplando le stelle, ci sentiremo infinitamente piccoli, ma anche infinitamente grandi, consapevoli della nostra limitatezza, ma anche beneficiari di straordinarie emozioni.

Dal momento in cui nasciamo, al momento in cui moriamo, è sempre lotta: ora contro il male, ora contro il bene. Scendiamo in campo per misurarci con altri uomini, sconfiggerli, dominarli o essere da loro vinti e sottomessi.
La vita non è solo rumore e furia, azione vorticosa e inconsulta. È anche contemplazione di un Dio, che può non esistere, ma in cui vogliamo credere, affidandoci a Lui, anche quando sembra abbandonarci. La vita ha, comunque, un senso e non importa, o poco importa, se a darglielo siamo soltanto noi, suoi inermi fantocci.
Questo senso può essere la soddisfazione di compiere il nostro dovere, e di compierlo fino in fondo. O può essere il godimento della bellezza del Creato o la mano tesa a chi ha bisogno. Solo così la nostra dignità di uomini sarà salva.

Il rispetto. Il rispetto è il riconoscimento dei diritti altrui. In esso c'è tutta la dignità umana. Ogni religione, infatti, lo raccomanda.

Il buddhismo ci invita a non offendere il prossimo con ciò che offende noi. Il cristianesimo c'invita a fare agli altri ciò che vorremmo che gli altri facessero a noi. Il confucianesimo si chiede: C'è una massima perennemente valida?. E risponde: Sì; quella gentilezza amorevole che consiste nel non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi. L'ebraismo ammonisce: Quel che offende voi non fatelo al vostro prossimo. Per l'induismo, dovere è Non fare agli altri ciò che, fatto a noi, ci procurerebbe dispiacere. Per l'induismo nessuno è un vero credente finché non desidera per il prossimo suo quel che desidera per se stesso.


Il giainismo c'incita, nella felicità e nella sofferenza, nella gioia e nel dolore a giudicare ogni creatura come giudichiamo noi stessi. Il taoismo ci dice: Valuta il guadagno del tuo prossimo come fosse il tuo guadagno, la sua perdita come se fosse la tua perdita. Lo zoroastrismo, infine, riconosce buona solo quella natura che dà agli altri ciò di cui lei stessa gode. Rispettare gli altri significa anche soccorrere noi stessi. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero