Fondi pensione, ancora troppi e piccoli

Giovanni Maggi
La previdenza complementare, la più classica e consolidata tipologia di welfare integrativo, continua a crescere ma molto lentamente. Troppo lentamente. i 32 fondi pensione...

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La previdenza complementare, la più classica e consolidata tipologia di welfare integrativo, continua a crescere ma molto lentamente. Troppo lentamente. i 32 fondi pensione negoziali (quelli che derivano la loro raccolta dai contratti di lavoro) attivi in Italia contano l'adesione di 2,7 milioni di lavoratori. Pochi per così tanti fondi. Che in tutto hanno accumulato 47 miliardi di euro di risorse per le future prestazioni pensionistiche integrative. In occasione dell'assemblea di Assofondi pensione (l'associazione, costituita nel 2003, raccoglie i 32 fondi), il 12 dicembre, è stato presentato il "Rapporto 2017".


Il fatto che l'ultima assemblea sia stata celebrata tre anni fa segnala una anomalia, che si spiega in parte con le diverse anime dei soci fondatori (le organizzazioni sindacali e quelle datoriali) e con la pluralità dei soci: tanti e piccoli. Il fondo negoziale di gran lunga maggiore, Cometa (il fondo di previdenza complementare dei lavoratori metalmeccanici) non è tra i primi 50 fondi pensione italiani. Questa proliferazione è un problema non marginale per spingere i fondi a investire in economia reale (l'asset di gran lunga maggioritario è rappresentato dai titoli di Stato). La massa critica non c'è e prevalgono gli aspetti prudenziali, che pur hanno garantito un rendimento medio di quasi il 3% negli ultimi anni, come ha ricordato nella sua relazione il presidente dell'Assofondi, Giovanni Maggi, che è anche responsabile Welfare per Confindustria. Tutti hanno ribadito la necessità di fare uno sforzo colossale di comunicazione e di educazione previdenziale, a tutti i livelli, soprattutto presso i lavoratori che dovrebbero comprendere i vantaggi del secondo pilastro previdenziale. Certo è che il Governo negli ultimi anni (dal 2014) non ha aiutato il settore, raddoppiando la tassazione sui rendimenti (dall'11% al 20%). Per Maggi è necessario "arginare il crescente fenomeno dei trasferimenti volontari in costanza di rapporto di lavoro richiesti dagli iscritti ai fondi pensione negoziali verso Fondi aperti  e Pip".


La concorrenza dei fondi non negoziali è forte. Il dinamismo del mercato non è sempre di casa nella cultura sindacale che guida spesso le dinamiche "di marketing" dei fondi negoziali, che hanno il vantaggio di essere intermediati dai contratti di lavoro, ma non sempre adeguatamente raccontati e proposti fuori da logiche di iscrizione alle sigle sindacali (che non favoriscono nemmeno la riduzione dei fondi: spesso troppi amministratori e pochi iscritti). Si investe poco in comunicazione e marketing e ci si aspetta che questo tocchi allo Stato. Ma con le campagne Pubblicità Progresso si rischia di fare poco. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero