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Chiamatelo pure incubo dell’asfalto. Si manifesta all’improvviso. Sempre temuto, sempre inaspettato. E’ l’infarto del traffico, il fenomeno che lo paralizza e trasforma il flusso naturale dei mezzi in un fotogramma fisso, impressionante, dove tutto è caratterizzato da una gelida fissità, da uno scoramento racchiuso in una imprecazione angosciata e impotente: «Ancora! E adesso»? L’ingorgo da incidente stradale, specie sul Raccordo o lungo la Tangenziale, è l’imprevisto prevedibile che infligge ritardi colossali ai propri impegni, quasi sempre spostamenti per lavoro, per onorare appuntamenti magari dal medico per una urgenza, di quelli che non ammettono ritardi.
Si concretizza così, per questo disgraziato utente, l’impossibilità di programmare il tempo dei propri spostamenti. Con danni talvolta assai severi. Il più delle volte, per fortuna, si tratta di danni ai mezzi: auto, camion, moto. Lievi tamponamenti che si risolvono in un paio di giorni dal carrozziere. In altre circostanze, va peggio, quasi sempre per colpa della velocità e dell’imprudenza. Liberare le corsie dai mezzi coinvolti significa aggiungere al danno la beffa: rallentamenti da curiosi, mezze ore di discussioni, litigi, contestazioni mentre tutto è fermo, tutto immobile, tutto impazzito. Solo la coda, implacabile, si allunga. Per essere perfetto, l’incubo sull’asfalto ha bisogno, dunque, anche dell’odio stradale. Ma, davvero, è una malattia inguaribile o il virus siamo noi a diffonderlo?
graldi@hotmail.com
Il Messaggero