Roma, uccise l'uomo che accudiva a calci e pugni: badante a processo

Roma, uccise l'uomo che accudiva a calci e pugni: badante a processo
Ha firmato le dimissioni dal Pronto Soccorso ed è tornato a casa. Ma invece di ritrovarsi accudito è stato ammazzato dalla badante con lui convivente e da un altro...

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Ha firmato le dimissioni dal Pronto Soccorso ed è tornato a casa. Ma invece di ritrovarsi accudito è stato ammazzato dalla badante con lui convivente e da un altro coinquilino. Nessun tentativo di rianimazione, ma anzi colpi al petto e alla testa, fino ad uccidere. A un anno e mezzo dal decesso la procura ha ricostruito la morte di Vincenzo Fortini, un sessantacinquenne del quartiere Portuense affetto da psicosi depressiva cronica, ritrovato rigido e col volto livido in casa nella mattina del 13 maggio dello scorso anno. Alessandra Casali e Marco Di Rienzo, ossia la donna che lo avrebbe dovuto accudire e un secondo ospite dell'appartamento di Fortini, saranno processati per omicidio volontario.


LE GIUSTIFICAZIONI

Non ha retto la spiegazione che l'anziano sarebbe stato solo scosso da loro perché rifiutava con forza la terapia. La relazione del medico legale ha ricostruito che l'uomo sarebbe stato ucciso la sera prima con colpi violenti, probabilmente calci e pugni, che gli avrebbero provocato lo sfondamento del torace e una emorragia cranica. La concausa un avvelenamento da psicofarmaci probabilmente somministrati con la forza, considerati i segni sulla bocca e il rinvenimento di pezzetti di carta nei bronchi. Il pm Mario Ardigò ha portato a processo anche un terzo indagato, Marco Manzone, ex marito della Casali, con l'accusa di omissione di soccorso. L'uomo, infatti, dopo aver conversato con la moglie al cellulare per 18 minuti, come ha scritto il pm, si sarebbe recato nell'abitazione di Fortini e nonostante lo abbia trovato in fin di vita non avrebbe allertato i soccorsi. Fortini era stato accompagnato il giorno prima al San Camillo con proposta di Trattamento sanitario obbligatorio. Ma nel tardo pomeriggio si era allontanato, aveva preso un taxi e poi, dopo aver fatto visita a dei parenti, era tornato a casa, in via San Pantaleo Campano. Il possibile movente del delitto? La Canali che abitava da oltre sei mesi nell'appartamento e con la pensione di Fortini, come l'amico Di Rienzo, potrebbe aver avuto uno scatto dopo la lettura del referto del pronto soccorso. Fortini, infatti, avrebbe confidato allo psichiatra di festini «a base di alcol e altre delizie». «Lo abbiamo pressato solo per somministrargli della Quetiapina, un antipsicotico», hanno provato poi a giustificarsi, mai finiti in carcere. E' possibile anche che avrebbero voluto impossessarsi dell'appartamento, poi sequestrato. La sorella della vittima, assistita dall'avvocato Antonio Davide Mastrone, si è costituita parte civile. Il processo si aprirà nell'aula bunker di Rebibbia a gennaio.
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Il Messaggero