Dieci anni senza Cerami, il poeta dei fattacci

Autore di romanzi e fumetti, saggi e testi teatrali, ma fu anche giornalista al Messaggero. Dove riuscì a imporre un nuovo genere letterario

Vincenzo Cerami
Il 17 luglio di 10 anni fa Vincenzo Cerami se ne andava, lasciandoci in eredità tanti regali preziosi: romanzi, poesie, film, testi teatrali, fumetti, saggi, invenzioni...

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Il 17 luglio di 10 anni fa Vincenzo Cerami se ne andava, lasciandoci in eredità tanti regali preziosi: romanzi, poesie, film, testi teatrali, fumetti, saggi, invenzioni linguistiche entrate stabilmente nel frasario degli italiani (da “borghese piccolo piccolo” a “non mi somiglia per gnente”) e persino un genere letterario che prima di lui aveva avuto pochi precedenti mentre oggi è un filone ricchissimo della narrativa nazionale. Lo chiamano “non-fiction”, ma all’epoca non esisteva un nome per definire il racconto “en poète” dei fatti di cronaca. Anzi dei fattacci, come Vincenzo li battezzò facendo entrare nel vocabolario italiano un termine fino ad allora perlopiù considerato romanesco. L’idea nacque proprio qui, al Messaggero: era il 1988 e Cerami - che già era uno scrittore affermatissimo - aveva accettato di lavorare come giornalista praticante nella redazione di via del Tritone. Per le pagine del quotidiano scrisse tra l’altro una serie di ricostruzioni dei delitti della Capitale, alcuni notissimi, altri quasi dimenticati. Quattro di questi racconti divennero poi un fortunato libro intitolato “Fattacci”, appunto. Da allora la narrativa italiana è piena di fattacci, storie di sangue reali - dalla Banda della Magliana all’omicidio Varani - ma rielaborate in forma letteraria. Nella sua prosa di poeta, Cerami svelava l’anima segreta di canari e marchesi, imbalsamatori ed ergastolani, i mostri e le loro vittime, perché nessuno come lui ha saputo raccontare la gente di Roma. Dieci anni dopo, i romani sono già molto cambiati: chissà come li racconterebbe Cerami se fosse ancora tra noi.

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Il Messaggero