Roma, Caso Verbano, nuovi sospetti. «Il delitto non va archiviato»

Una cerimonia a Montesacro in ricordo della morte di Valerio Verbano, ucciso con un colpo di pistola il 22 febbraio del 1980
«Indagate su una lettera e un proiettile». In un labirinto di ipotesi, di strade che si sovrappongono senza essere mai arrivate all’individuazione dei killer, i...

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«Indagate su una lettera e un proiettile». In un labirinto di ipotesi, di strade che si sovrappongono senza essere mai arrivate all’individuazione dei killer, i legali della famiglia di Valerio Verbano calano il loro asso. Lanciano sulla scrivania del gip l’ultima carta prima che la storia dell’omicidio dello studente di 19 anni, avvenuto ormai 40 anni fa, il 22 febbraio 1980, venga inghiottita dall’oblio. 


Oblio che, in termini giuridici, si chiama “richiesta di archiviazione”. Una richiesta della procura a cui l’avvocato Flavio Rossi Albertini si oppone strenuamente aggiungendo due indizi che, per il penalista, meriterebbero di essere investigati. Anche perché le indagini difensive hanno confermato tutti i sospetti della procura, le ipotesi sulla matrice politica, neofascista, dell’omicidio dello studente del liceo Archimede, attivista di Autonomia operaia. 

I nomi che vengono indicati da Albertini sono quelli di due persone che non sono mai state indagate dalla procura in questa indagine. Il primo è un Nar, il secondo un “camerata” di Terza Posizione. Entrambi ex. In una parola due esponenti di spicco, all’epoca, dell’estrema destra romana, innestati nel vortice di contrapposizione politica di quegli anni tra “rossi e neri”. «La richiesta di indagini suppletive» indica due storie diverse che, apparentemente, non si intrecciano. La prima ipotesi affonda le sue radici in una rapina datata 5 dicembre del 1979, per cui l’uomo è stato già condannato. In quel giorno il Nar, assieme a dei complici, mette a segno un colpo. Una delle armi usate è un revolver calibro 38. La stessa tipologia di proiettile che, un anno dopo, è stato estratto dal corpo senza vita di Verbano. 

Per questo adesso l’avvocato chiede una comparazione dei due bossoli «al fine di verificare se la pistola utilizzata in entrambe le evenienze delittuose fosse, o meno, la medesima». Un esame che non è mai stato realizzato, perchè gli inquirenti si concentrarono solo sulle calibro 7,65. Nell’appartamento dei Verbano venne ritrovata una Beretta Browning semiautomatica. Un’arma abbandonata lì da uno dei tre killer. Tuttavia non era quella la pistola da cui partì il colpo mortale.

L’altra pista invece è più complicata e tira in ballo la madre di un giovane neofascista. Al centro del mistero una lettera che, pochi giorni dopo l’assassinio del 19enne, il 29 febbraio 1980, venne spedita alla Digos. Una missiva che invitava gli inquirenti a cercare gli assassini di Verbano tra gli estremisti di sinistra, in una sorta di “regolamento di conti” tra comunisti. 


Il 18 giugno 1981 veniva perquisita la casa del giovane di destra e sua madre firmò una serie di decreti della polizia. Per i carabinieri, che hanno ereditato l’ultima indagine, la calligrafia della lettera e “l’autografo” nei decreti sarebbero molto simili. Anche in questo caso non è mai stato realizzato un esame grafologico. Perciò il legale degli eredi Verbano chiede a gran voce di incaricare un perito per verificare l’ipotesi. Adesso la palla è nelle mani del gip, il 17 aprile, giorno dell’udienza, forse potrà esserci un nuovo colpo di scena.     Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero