Prelievi sui vestiti, sui bicchieri, sulle posate, sullo spazzolino da denti. Gli uomini della Scientifica, su delega della Procura, sono tornati nella casa di Gabriele Di Ponto,...
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I TEST
I magistrati che coordinano le indagini, il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il pubblico ministero Giorgio Orano, vorrebbero anche stabilire dai resti del piede se Di Ponto fosse stato drogato o narcotizzato prima dell'amputazione. Ma il medico legale incaricato del caso, Fidelia Cascini, ha un compito tutt'altro che semplice: l'arto è rimasto in acqua a lungo, probabilmente alcuni giorni, è non ci sarebbero tracce di sangue a sufficienza per accertare la presenza di altre sostanze nel corpo della vittima al momento della probabile uccisione. Gli investigatori puntano anche a capire attraverso gli accertamenti tecnici se l'arto sia stato staccato dal corpo, probabilmente con una motosega, prima, dopo o contestualmente alla fine dell'uomo. Anche in questo caso, però, secondo gli esperti, «potrebbero restare forti margini di dubbio». L'ipotesi prevalente è che il cadavere, non ancora individuato, sia stato fatto a pezzi successivamente al delitto e poi buttato nel fiume tra San Basilio e Ponte Mammolo.
LE INDAGINI
Gli uomini della Squadra Mobile, guidata da Luigi Silipo, continuano a setacciare il mondo dello spaccio che ha solidissime radici tra San Basilio e La Rustica. Gabriele Di Ponto, 36 anni, aveva moltissimi precedenti per rapina e altrettanti per droga. Il piede è affiorato l'11 agosto lungo l'argine del fiume tra l'Acqua Acetosa e la confluenza con il Tevere. L'uccisione, secondo gli investigatori, potrebbe anche essere il risultato di una vendetta personale ideata da qualcuno che aveva motivi di fortissimo rancore verso la vittima. Ma l'epilogo potrebbe essere l'intreccio e la sovrapposizione di più vicende. Di Ponto, con moltissimi anni di carcere alle spalle, era molto noto nel sottobosco del traffico di stupefacenti che prospera nella periferia est. Non faceva parte di un clan in particolare, stando ai primi accertamenti. L'ipotesi della polizia è che possa aver offerto il suo “braccio” a una banda e che nell'intreccio di rapporti, soldi e vendita di stupefacenti possa aver compiuto uno sgarro punito con la morte. Qualcuno ha tirato in ballo un clan di albanesi. Ma la vita condotta da Di Ponto era talmente estrema che chiunque potrebbe aver deciso di spezzarla. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero