Roma, tre locali su dieci non pagano la Tari: porta a porta flop

Rifiuti non raccolti accanto ad alcune attività commerciali in centro
Non ha ancora assunto i contorni di una vera e propria voragine ma l'ammanco è enorme, complici i mancati controlli da parte del Comune e dell'azienda...

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Non ha ancora assunto i contorni di una vera e propria voragine ma l'ammanco è enorme, complici i mancati controlli da parte del Comune e dell'azienda municipalizzata dei rifiuti. Il risultato? Centinaia di migliaia di euro che vanno in fumo e non vengono incassati ogni anno dal Campidoglio perché almeno tre imprese su dieci (tra bar, ristoranti, laboratori artigianali, carrozzerie e negozi) evadono il pagamento della Tari. Bollettini evasi ripetutamente da una parte del comparto che, compresa la provincia, conta all'incirca 400 mila realtà imprenditoriali. E l'ammissione arriva direttamente dalla Confartigianato, che ha recentemente elaborato uno studio proprio sulla Tari. Secondo le imprese, piegate da tariffe molto alte che non conoscono uguali in tante altre grandi città d'Italia a fronte anche di un servizio insufficiente, l'evasione è diventata una forma - distorta e illegale - a loro dire di «autodifesa». Insomma sulla carta l'amministrazione comunale chiede per i servizi di Ama o di altre società a cui è stato affidata la raccolta dei rifiuti dalle utenze non domestiche di pagare cifre elevatissime quando poi il servizio che viene reso - e il numero dei reclami inviati lo dimostra - non è all'altezza. Solo nel 2019 Ama ha dovuto fronteggiare oltre 62 mila reclami, ovvero circa 200 al giorno e dalle verifiche sono poi venute fuori diverse inadempienze da parte delle ditte incaricare della raccolta con sanzioni che hanno superato un milione di euro. Solo nel centro storico - dove si concentrano moltissimi ristoranti e laboratori - lo scorso anno i reclami sono stati più di 15 mila. E se di certo non può essere questa una giustificazione, è altrettanto vero che una parte delle imprese ha iniziato a non pagare più la Tari o a farlo in ritardo, portando l'evasione a circa il 30%.


In merito a quanto pesa la tassa su laboratori artigianali, ristoranti, bar, negozi ma anche uffici, un'analisi della Confartigianato conferma il dato: a Roma il settore imprenditoriale e artigianale è il più tartassato d'Italia. Qualche esempio? Nella Capitale un ristorante paga per la Tari 41,3 euro a metro quadro e un locale di 200 mq arriva a fine anno a dover sborsare 8.260 euro. A Torino, invece, la stessa attività imprenditoriale paga in rifiuti 18,9 euro a metro quadro e ogni anno per un locale di 200 mq sborsa 3.780 euro. Anche a Milano, Palermo e Napoli le tariffe sono più basse e non solo per le attività di somministrazione. Se infatti a un laboratorio artigianale di 200 metri quadri - falegname o tappezziere che sia - nella Capitale si chiedono 10,3 euro a mq e 2.060 euro all'anno per il ritiro dei rifiuti (non ingombranti né speciali che seguono un canale a sé per lo smaltimento), a Milano la cifra scende rispettivamente a 4,45 euro a mq e a 890 euro l'anno. Elevato anche il costo richiesto agli uffici: il canone annuale romano si attesta sui 3.480 euro se l'ufficio in questione ha un'ampiezza di 200 mq. La stessa realtà traslata a Palermo costa in rifiuti 1.340 euro e a Napoli 820 euro. In media, analizzando i conti della Confartigianato a Roma si paga quasi il 250 per cento in più di Milano. «Gli aumenti più considerevoli applicati alla Tari negli ultimi anni - spiega Antonio Fainella, presidente della Confartigianato - sono stati scaricati quasi interamente sul comparto imprenditoriale». Ad oggi su circa 800 milioni di euro, che rappresentano i costi di Ama per il servizio di raccolta, «circa 430 milioni sono pagati - continua Fainella - da 120 mila imprese. La quota a loro carico è del 53%: non esiste un dato simile nel resto del Paese». Il risultato è chiaro. «Servirebbe una norma - conclude il numero uno della Confartigianato - che agevoli il recupero dell'evasione». I controlli ad oggi non sono capillari e nella maggior parte dei casi anche a fronte dell'accertamento della violazione, le imprese alla fine preferiscono chiudere invece che pagare, producendo un duplice danno: non permettere il recupero all'amministrazione e assottigliare ancora di più il comparto imprenditoriale.
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Il Messaggero