Stadio, le ammissioni di Caporilli, primo scarcerato: «Così potevamo controllare il Campidoglio»

Stadio, Caporilli, primo scarcerato: «Così potevamo controllare il Campidoglio»
Ammette a verbale che la procura di Roma non ha frainteso il senso delle intercettazioni e che l'impianto dell'accusa è corretto. Luca Caporilli, classe 64,...

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Ammette a verbale che la procura di Roma non ha frainteso il senso delle intercettazioni e che l'impianto dell'accusa è corretto. Luca Caporilli, classe 64, geometra, dal 2011 in forza al gruppo Parnasi, ora scarcerato anche alla luce del suo contributo all'indagine, ha puntellato l'inchiesta della procura di Roma sul «sistema stadio» in alcuni passaggi decisivi. Ammettendo i pagamenti alla politica e il ruolo che, in tutta la vicenda Tor di Valle, aveva l'avvocato Lanzalone. Nel corso di due lunghi interrogatori, con al fianco gli avvocati Pierpalo Dell'Anno e Michelangelo Curti, si difende, prendendo le distanze dalle scelte del patron dello stadio Luca Parnasi.


Davanti al pm Barbara Zuin, il geometra, da settembre 2017 consulente d'oro di Eurnova (200mila euro l'anno) e ora accusato di associazione a delinquere, ha spiegato come non condividesse la linea del capo. Racconta dei finanziamenti alla politica: «Parnasi non ha mai fatto mistero con noi collaboratori della necessità di finanziare i partiti per potere lavorare. Sapevo che molti di loro richiedevano denaro e che Parnasi accettava le loro richieste. Non sapevo se i finanziamenti fossero leciti o illeciti», ammette che a chiederli sia stato anche Michele Civita. Un clima, aggiunge, che già da tempo lo aveva portato alla decisione di lasciare l'azienda.

LE CONSULENZE
Il pentito, prima davanti al gip, poi con i pm, ha ricostruito il rapporto del gruppo Parnasi con Lanzalone: «Era quello che cercava di risolvere i problemi, cercando anche di fare in modo che l'amministrazione comunale capisse le nostre criticità. Una sponda... un appoggio». Un passaggio fondamentale, per l'impianto dell'accusa. Le attenzioni per il gruppo, secondo la procura e secondo Caporilli, sarebbero state ricompensate: «Un incarico al suo studio. Io lo dico che non ero d'accordo su quella cosa, lo dico chiaramente, perché cosa c'entrano gli avvocati? Non c'entravamo nulla su quella cosa». Ma l'ex dipendente di Parnasi ricostruisce anche i tempi e spiega che fino alla vigilia degli arresti Lanzalone ha continuato a occuparsi dello stadio.

LE INFRASTRUTTURE

Quando gli viene contestata un'intercettazione nella quale dice a un tecnico, che faceva osservazioni a proposito della viabilità per la mancata costruzione del ponte di Traiano («No, ma tu queste cose te le devi tenere per te») il pentito è pronto a chiarire: «Intendevo dire che il Business Park si riduce, non provoca nessun miglioramento, non funziona lo stesso. Perché? Perché tanto per andare al Business Park tutte le persone continuano a fare l'Ostiense... oltre alla eliminazione del ponte sul Tevere c'era anche la riqualificazione diversa della Via Ostiense per andare incontro alle esigenze del traffico». Pur lavorando all'interno di un sistema, provò a migliorare gli interventi infrastrutturali: «Il ponte sul Tevere noi dovevamo farlo e questo ponte sul Tevere ci veniva, tra virgolette, compensato con della volumetria aggiuntiva, così come le altre opere di carattere generale». Singolare, nell'ottica di Caporilli, è l'atteggiamento tenuto dalla Sovrintendenza, che dopo aver posto un vincolo sulle tribune progettate dall'architetto Lafuentes, accetta che Parnasi prometta di realizzarne altre «finte»: «Era un modo per accontentare il sovrintendente». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero