Cassazione: Roberto Spada si è avvalso del metodo mafioso e dell'omertà

Cassazione: Roberto Spada si è avvalso del metodo mafioso e dell'omertà
Roberto Spada, accusato di lesioni personali e violenza privata aggravate dal metodo mafioso per l'aggressione alla troupe di “Nemo” deve rimanere in carcere per...

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Roberto Spada, accusato di lesioni personali e violenza privata aggravate dal metodo mafioso per l'aggressione alla troupe di Nemo deve rimanere in carcere per la «gravità» dei fatti e per la sua «inquietante personalità». Parola della Cassazione. Per i supremi giudici è appurato che Roberto Spada, nel corso dell'intervista e «nella fase cruenta della stessa» - culminata nella testata al giornalista Daniele Piervicenzi e nel pestaggio dell'operatore Edoardo Anselmi - si «avvalse» di un guardaspalle, evocò più volte l'intervento di altri soggetti «in grado di danneggiare l'auto» del reporter. Inoltre, Spada «approfittò del clima di omertà per infierire sui due malcapitati, i quali furono dissuasi da ogni tentativo di difesa proprio dall'ostilità percepita (gli involontari spettatori si affrettarono a chiudere le finestre; nessuno si offrì di aiutarli, seppur vedendoli sanguinare; addirittura qualcuno manifestò compiacimento per l'accaduto»).


Data questa situazione, sottolinea la Suprema Corte - «resta dimostrato, quindi, che Spada si avvalse della forza di intimidazione promanante dall'associazione malavitosa imperante sul territorio, nota come clan Spada, ben presente nella mente dei giornalisti e ben nota agli abitanti del luogo, tant'è che alla stessa si fece riferimento, ripetutamente, nel corso dell'intervista, come soggetto collettivo in grado di influenzare le decisioni politiche assunte nell'ambito del quartiere». All'avvocato Angelo Staniscia, che contestava l'aggravante mafiosa sostenendo che Roberto Spada «non era mai stato condannato o inquisito per associazione mafiosa», la Cassazione replica che «poco importa che l'esistenza di un
clan Spada non sia stata ancora accertata giudiziariamente, nè che sia indimostrata, allo stato, la partecipazione di Spada Roberto allo stesso».

«Ciò che conta per la sussistenza dell'aggravante - prosegue il verdetto - è che una associazione malavitosa, avente le caratteristiche di cui all'art. 416bis cp, sia stata evocata e che della stessa l'indagato si sia consapevolmente avvalso per la perpetrazione dei reati che hanno determinato» la sua carcerazione. I supremi giudici ricordano che
più di un collaboratore di giustizia ha parlato del clan Spada e del fatto che Roberto Spada, detto Roberto lo zingaro, vi partecipa. Spada deve restare in carcere non solo per la gravità dell'aggressione e il contesto mafioso, ma anche perchè è «non è in grado di contenere le pulsioni aggressive che maturano in lui finanche nelle situazioni di semplice disagio». Il processo a Spada è in corso davanti a Roma, la prossima udienza è per il 13 giugno e il pm Giovanni Musarò ha disposto l'accompagnamento coatto di un «teste riluttante» Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero