Bruciò tre sorelle nel camper, il pg Amato: «Trent’anni per Seferovic». In primo grado era stato condannato all'ergastolo

Non più il carcere a vita, ma trent’anni. Con la possibilità di rifarsi una vita, provare a ricominciare. Serif Seferovic, il ventenne bosniaco accusato del...

Continua a leggere con la nostra Promo Flash:

X
Scade il 29/05
ANNUALE
11,99 €
79,99€
Per 1 anno
SCEGLI
MENSILE
1,00 €
6,99€
Per 6 mesi
SCEGLI
2 ANNI
29 €
159,98€
Per 2 anni
SCEGLI

VANTAGGI INCLUSI

  • Tutti gli articoli del sito, anche da app
  • Approfondimenti e newsletter esclusive
  • I podcast delle nostre firme

- oppure -

Sottoscrivi l'abbonamento pagando con Google

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Non più il carcere a vita, ma trent’anni. Con la possibilità di rifarsi una vita, provare a ricominciare. Serif Seferovic, il ventenne bosniaco accusato del rogo di Centocelle costato la vita a Francesca, Angelica e Elisabeth Halilovic, 4, 8 e 20 anni, le sorelle rom arse vive una notte di maggio 2017, secondo un nuovo calcolo va condannato a 30 anni di carcere, non all’ergastolo.

La rideterminazione della pena è stata avanzata ieri dalla procura generale nell’ambito del processo d’appello, aperto a piazzale Clodio su ricorso dell’imputato. Per il pg Giancarlo Amato la richiesta di una pena più leggera non deve far pensare, però, a una ritenuta minore responsabilità di Seferovic: «Si è arrivati alla decisione solo in base all’applicazione di calcoli giuridici diversi». Secondo il pg, Serif Seferovic va comunque ritenuto colpevole in pieno per aver gettato assieme a due fratelli (scappati all’estero) e alla cognata (condannata a 20 anni) delle molotov contro il camper dove le tre sorelle dormivano coi genitori e altri otto fratelli.

«Un attentato che poteva far contare ancora più vittime» precisando che le bambine erano state uccise tra i più atroci tormenti. Anche se l’imputato non ha lanciato materialmente le bottiglie incendiarie – come aveva sottolineato in primo grado il pm Alessia Miele chiedendo e ottenendo l’ergastolo – la sua responsabilità deve considerarsi comunque piena, per il solo fatto di aver partecipato all’azione e comunque per non averla impedita. «Non sono stato io a lanciare le bottiglie incendiarie» si è sempre giustificato Serif, difeso dall’avvocato Giancarlo Nicolini e già finito alla ribalta delle cronache per la morte di Zhang Yao la ragazza cinese morta investita da un treno dopo che lui l’aveva scippata. «Io dormivo in un autogrill con mia moglie e i miei figli. Bastava estrapolare i filmati dai sistemi di videosorveglianza. Eravamo scappati tutti perché Renato Halilovic, il padre delle bambine, ci perseguitava, e chiedeva soldi a tutti nel campo, non perché fossi colpevole». Una ricostruzione quella degli Halilovic taglieggiatori, poi, caduta già in sede di indagine in un procedimento annesso. A pesare sulla posizione di Serif Seferovic alcune intercettazioni ambientali effettuate nel camper dei genitori fuggiti a Torino dopo l’orrore, per timore di ritorsioni. «Si sono sciolte come candele», avrebbe detto lo stesso Seferovic, tra l’altro traducendo le sue intercettazioni davanti alla Corte. Per i giudici di primo grado Seferovic avrebbe un doppio movente per uccidere ed inoltre la sua presenza si poteva dare da subito per certa.


LA RICOSTRUZIONE


Stessa ricostruzione del pg che ha ritenuto la presenza sul posto, assieme ai fratelli, Romano e Johnson scappati in Bosnia, la notte dell’attentato. Una presenza che «non fu ne’ casuale ne’ incolpevole». La Corte aveva individuato anche due moventi, due motivi di astio dei Seferovic contro Romano Halilovic, il padre delle bambine. Era stato lui a rivelare alla polizia che era Serif l’autore dello scippo della studentessa cinese rimasta poi travolta e uccisa dal treno. Ed anche a schiaffeggiare il fratello Renato, per di più davanti alla moglie. La Corte ha trasmesso anche gli atti in procura, profilando l’ipotesi di falsa perizia, per due interpreti chiamati a interpretare il Khorakanè, il dialetto rom bosniaco dei Seferovic, e che invece non avevano tradotto le intercettazioni cruciali, sostenendo che fossero poco comprensibili. Un lavoro svolto perfettamente invece dal consulente del pm Miele, che però, per escludere ritorsioni, ha lavorato sotto copertura e con il nome “Lupo Alberto”. A pesare sull’imputato proprio la disperazione della madre di Serif perché non era riuscita a tenere a freno i figli: «Tutto il giorno, tutta la notte dicevano. Come facciamo? Quando andiamo? Sono andati di nuovo a buttare la benzina. Andranno trent’anni in galera. Fino alla morte rimarranno in galera». «Io ho detto Franco (ossia Serif) tu non mischiarti puoi finire in galera. Lì dentro strillavi urlavi ti volevi impiccare da solo», riferendosi a quando venne arrestato per lo scippo alla cinese.
  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero