Sito web vende le pillole del suicidio a una trentenne che voleva morire

Sito web vende le pillole del suicidio a una trentenne che voleva morire
Trecento euro per togliersi la vita, in modo rapido e indolore. Per avere un supporto, illegale, reperito tra le pagine web. Un sito italiano, ora al vaglio della Procura, propone...

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Trecento euro per togliersi la vita, in modo rapido e indolore. Per avere un supporto, illegale, reperito tra le pagine web. Un sito italiano, ora al vaglio della Procura, propone ai clienti barattoli di pillole del suicidio. Non si tratta di medicinali in grado di curare la depressione, ma di sostanze che, ingoiate a manciate, provocherebbero la morte. I venditori offrono anche un efficiente servizio d'informazione: rispondono alle domande degli utenti, danno consigli, suggeriscono dosaggi. Forse, fanno addirittura leva sulla malattia per raggirare gli acquirenti. Il caso è appena finito al vaglio della Procura: il pm Saverio Francesco Musolino ha aperto un fascicolo che per il momento viaggia senza ipotesi di reato.


Agli inquirenti mancano alcuni tasselli: non è ancora chiaro se si tratti di una truffa, o se per i responsabili dello spazio web sia ipotizzabile invece l'istigazione al suicidio. L'inchiesta è scattata poche settimane fa, dopo la denuncia sporta dal fratello di una giovane decisa a farla finita. Tutto è successo in un paio di mesi. La ragazza, nemmeno trentenne, inizia a manifestare con insistenza istinti suicidi. Alla fine di marzo tenta di uccidersi e finisce al pronto soccorso. Durante il ricovero in ospedale, il fratello indaga per capire quali siano i problemi della giovane. Legge per caso alcune mail archiviate nel suo computer.

La trentenne era in contatto con i responsabili di uno strano sito internet. La ragazza cerca informazioni su un medicinale sponsorizzato dallo spazio online. Si tratta di pastiglie potenzialmente in grado di provocare un decesso indolore. «Ne devi prendere almeno cinquanta, costano 300 euro», rispende il venditore. L'interlocutore fa poi una richiesta che insospettisce il denunciante.


 

Parlando delle modalità di pagamento, suggerisce di accreditare la somma su un conto corrente estero. In questo modo, in caso di raggiro, il denaro sarebbe stato molto più difficile da tracciare. L'affare non va in porto, ma il denunciante decide comunque di contattare gli inquirenti. Il primo sospetto di chi indaga è che si tratti di una truffa subdola. Se dall'inchiesta emergesse però che l'attività è effettivamente funzionante, il problema sarebbe più serio. I responsabili del sito potrebbero rischiare l'imputazione per aver smerciato sostanze letali. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero