Simone si è guardato allo specchio. «O mi butto dal terzo piano e risolvo subito il problema o combatto». La diagnosi era atroce: linfoma di Hodgkin, a 38 anni....
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LA SCOPERTA
È maggio 2015 quando Simone Mori, di Villa Adriana, all'epoca 38enne, scopre questa terribile malattia. «Era silente da mesi - racconta in una pausa durante un controllo all'ospedale di Tor Vergata dov'è in cura - non mi sentivo più il Simone di prima. Ero stanco, avevo spesso la febbre quando in 5 anni di liceo classico mi sarò assentato per malattia 5 volte». Forse poteva accorgersene prima. «La prevenzione è fondamentale, se non vi sentite troppo bene andate dal medico di famiglia, anche per un banale consiglio». Subito dopo la scoperta «ho avuto pensieri negativi, quando hai un cancro al sangue ti prende un colpo». Il problema è che, dopo il primo schema di chemioterapia la risposta del corpo è stata solo parziale. «E' stato toccato il sistema immunitario, oggi sono al quarto schema e dovrò fare un trapianto di cellule staminali». Ci sono giorni in cui sta bene, altri in cui non si regge in piedi. Eppure non gli manca il sorriso, mai. E' la sua peculiarità. «Io sogno di guarire per mettermi a disposizione totale degli altri. Come una missione». La sua missione però è già partita, con la beneficenza. Grazie a tenacia e tenerezza ha raccolto una discreta somma che ha devoluto a due associazioni, Arcobaleno della speranza (a Tor Vergata) e Vidas (Milano) e semmai dovesse pubblicare il libro a cui sta lavorando, titolo provvisorio Dovunque tu andrai io andrò, punta a ottenere introiti «dalla casa editrice per fare delle donazioni».
LE GIORNATE
Della sua vita di prima, a Simone manca soprattutto «la possibilità di programmare: non posso decidere cosa fare domani. Oggi sto in forma, domani sto tutto il giorno a letto. Mio padre, mia madre e mio fratello mi accompagnano ovunque, come a fare le visite. Io vorrei andare da solo, non è possibile purtroppo. In fondo è un lavoro di squadra». Non ha l'amore al suo fianco, in compenso ha tanto affetto (alcuni personaggi noti come Vinicio Marchioni seguono l'evoluzione della sua malattia) e ha ritrovato il rapporto con il fratello più grande «ora c'è più confidenza - dice - perché la malattia o unisce o divide e a me sta aiutando tanto». Come l'amico Moreno Marinozzi, che gli ha suggerito l'hastag #tenaciaetenerezza. Cresciuto in una casa di laziali, stima Totti e sogna di incontrare Papa Ratzinger («ho ammirazione per lui»). Prima di tornare nel reparto di onco-ematologia ci tiene a ringraziare il primario, la professoressa Cantonetti e i due medici Provenzano e Meconi: «In reparto mi dicono: tu sorridi sempre, porti allegria». Perché lì, «di gente sola, ne vedo tanta: loro sono degli angeli». E non è come «la fiction Braccialetti rossi, andassero al Bambin Gesù a vedere davvero cosa significa stare male».
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Il Messaggero