«Ho tentato di fermare l'emorragia con il suo cappello: premevo forte, sono stata l'unica ad aiutarlo, tutti gli altri fuggivano». Franzesca Jager Montesi, 53...
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Franzesca Jager Montesi, appena esploso lo sparo è scoppiato il panico?
«Erano le 17.13, stavo guardando il tabellone con gli orari delle partenze per tornare a casa, c'è stata l'esplosione: inizialmente sembrava una bomba. Sono tutti fuggiti».
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Invece lei è corsa verso la vittima?
«Sì, è stata una cosa istintiva, sono andata verso il luogo da dove proveniva l'esplosione e ho trovato la vittima in piedi, aveva una mano sul collo e perdeva tanto sangue, ho chiesto se gli avessero sparato, mi ha detto: No, sono stato accoltellato».
Ha capito subito la gravità della ferita?
«Certo, stava morendo dissanguato, l'ho fatto stendere a terra, ho preso il suo berretto e l'ho tenuto premuto sulla ferita. Ho esperienza, ho lavorato due anni al pronto soccorso del Policlinico Casilino. Gli ho chiesto come si chiamava, rispondeva, era cosciente».
La vittima cosa diceva?
«Chiedeva di avvertire la moglie, ma gli ho detto di stare fermo e di non parlare. Erano tutti fuggiti, agghiacciante, solo una ragazza che lavora nel bar vicino si è avvicinata per chiedermi se avevo bisogno di fazzoletti, ma non potevo lasciare la ferita, dovevo continuare a premere a mani nude, aveva già perso moltissimo sangue».
Poi cosa è accaduto?
«È arrivata l'ambulanza. La polizia ha preso i miei dati. È sconvolgente che tutti siano fuggiti, questa storia dimostra che noi infermieri siamo importanti, abbiamo un ruolo determinante».
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Il Messaggero