Roma, gli sms che inchiodano il rom stupratore: «Zitte o farete una brutta fine»

Roma, gli sms che inchiodano il rom stupratore: «Zitte o farete una brutta fine»
L'assalto era quotidiano e virtuale. Sistematico e ciclico. Perorato affinché nessuna delle due parlasse con genitori e amici e soprattutto con le forze dell'ordine...

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L'assalto era quotidiano e virtuale. Sistematico e ciclico. Perorato affinché nessuna delle due parlasse con genitori e amici e soprattutto con le forze dell'ordine per raccontare l'orrore vissuto. Mario Seferovic, 21 anni, teneva in pugno così le sue vittime: minacciandole di morte su Facebook. Non solo, ha provato a circuire anche la madre di una delle due minorenni Paola e Ilaria (le chiameremo così) aggredite e violentate lo scorso 10 maggio in una parte nascosta dalla folta vegetazione tra via Renato Birolli e via Emilio Longoni, alla periferia est di Roma. L'uomo si trova ora con il suo complice, Maikon Halilovic, 20 anni, accusato di aver fatto il palo per permettere all'amico di compiere le violenze, nel carcere di Regina Coeli.


I MESSAGGI SU FACEBOOK
Dopo gli abusi, Alessio il Sinto, alias Seferovic, aveva continuato a perseguitare le due ragazzine. Usando proprio Facebook, considerato dall'uomo almeno a vederne la pagina , strumento di conquiste e di potere. Emergono nuovi dettagli in una storia raccapricciante e dolorosa: quei messaggi scritti e inviati usando la chat del noto social network soprattutto a una delle due vittime per intimorirla. «Prova a parlare e farai una brutta fine», scriveva Seferovic. E ancora: «Stai zitta, mi raccomando». Le notifiche erano pressoché continue. La ragazza, spaventata, lo aveva bloccato ma l'uomo, testardo, aveva raggiunto la madre millantandosi per un semplice ragazzo a cui piaceva la figlia. Se ne contano molti di questi messaggi, venti e ancor di più, scritti e inviati, a tutte le ore del giorno e della notte e reiterati per il lungo periodo che dalla violenza di maggio si è concluso solo lo scorso venerdì con l'arresto di Seferovic e del suo complice da parte dei carabinieri della stazione Tor Sapienza. Gli avvocati che assistono le due minorenni e le rispettive famiglie punteranno proprio su questi messaggi in chat per sostenere l'accusa di violenza sessuale di gruppo.

LE PROVE

Oltre infatti alle deposizioni rese dalle due ragazzine durante l'incidente probatorio che secondo il gip, Costantino De Robbio, sono state «estremamente analitiche, lineari e coerenti e prive di contraddizioni logiche», le parti lese non hanno altro per poter dimostrare la violenza sessuale. Non ci sono, infatti, certificati o referti medici (proprio perché le due minori hanno denunciato il fatto a distanza di un mese e senza recarsi prima in ospedale) che possano comprovare segni di stupro. Intanto oggi Seferovic e Halilovic dovranno rispondere all'interrogatorio di garanzia di fronte al gip Costantino De Robbio ma è molto probabile che i due indagati, assistiti rispettivamente dagli avvocati Amalia Capalbo ed Emanuele Fierimonte, si avvalgano della facoltà di non rispondere.
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Il Messaggero