Scontrino-gate secondo round. L'ex sindaco Ignazio Marino torna sul banco degli imputati per lo scandalo delle cene private pagate con la carta di credito del Comune,...
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LA DIFESA
Durante l'udienza, il chirurgo si è alzato in piedi e ha ribadito ai giudici la sua innocenza: «Mai nella mia vita e nelle funzioni di sindaco ho utilizzato denaro pubblico per motivi personali». Marino ha detto anche di aver donato nel 2014 diecimila euro alla città, scalandoli dal suo stipendio, e di non aver chiesto rimborsi al Campidoglio per alcuni appuntamenti istituzionali, come quello con il presidente della Roma, James Pallotta, e con il sindaco di New York, quando cancellò una vacanza negli Stati Uniti trasformandola in incontri di lavoro. «Mi sono presentato in procura spontaneamente - ha aggiunto - e ho dato le chiavi della mia agenda elettronica». Ha anche ricordato di aver rinunciato allo stipendio da senatore prima di essere eletto sindaco, lasciando più di 80mila euro nelle casse pubbliche. «Se sono ladro sono un ladro scemo e incapace di intendere e di volere», ha concluso.
Il pg aveva chiesto di riaprire l'istruttoria e di riascoltare sette testimoni, tra cui Silvia Decina e Claudia Cirillo, collaboratrici dell'ex sindaco, finite a loro volta sotto inchiesta rispettivamente per falso e per false dichiarazioni al pm. La corte, però, ha deciso di procedere direttamente con le discussioni, considerando sufficienti le circostanze emerse nel primo grado di giudizio, che si era svolto con rito abbreviato.
IL PRIMO GRADO
All'epoca, la procura aveva chiesto una condanna a 3 anni e 4 mesi, accusando Marino di aver spacciato per incontri istituzionali 56 cene private avvenute tra il 2013 e il 2015 e costate al Comune 12mila e 700 euro. A Roma, le mete preferite dell'ex sindaco erano alcuni ristoranti nei pressi di casa sua e dell'abitazione della madre. Da Sapore di Mare al Vero Girarrosto Toscano, passando per Archimede a Sant'Eustachio e arrivando a La Taverna degli Amici, in piazza Margana. Poi l'assoluzione.
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Il Messaggero