Roma, giungla Capitale: «Svista del Comune, potature ferme»

Otto mesi fa, dopo due anni di rimpalli da un ufficio all’altro del Campidoglio, Virginia Raggi prometteva di mettere finalmente riparo alla giungla Capitale cresciuta a...

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Otto mesi fa, dopo due anni di rimpalli da un ufficio all’altro del Campidoglio, Virginia Raggi prometteva di mettere finalmente riparo alla giungla Capitale cresciuta a dismisura in parchi, ville storiche e aree dove giocano i bimbi: «È stato aggiudicato definitivamente il bando da 4 milioni di euro per la manutenzione del verde orizzontale - annunciava la sindaca - d’ora in poi cinque ditte specializzate per 46 squadre saranno operative tutti i giorni». Era il 16 novembre 2018. Da allora quelle ditte non hanno visto un euro dal Campidoglio. E quindi ora hanno deciso: basta, non facciamo più i lavori finché non ci viene pagato quanto promesso. Tutto nascerebbe dall’ennesimo svarione degli uffici comunali. E lo stallo si allarga pure alle potature degli alberi, appalto che il Comune era appena riuscito ad aggiudicare dopo quasi due anni e mezzo di incredibile paralisi. Motivo dell’ennesimo rinvio? La commessa per gli alberi è stata assegnata ma non c’è ancora un contratto. E visti i tempi pachidermici della macchina burocratica di Palazzo Senatorio, prima di fine settembre non si arriverà alla firma.

 

Spiega Mauro Mannocchi di Assartigiani, organizzazione che raggruppa 42 aziende del verde di Roma: «Dato che il Comune non riesce a pagare gli operai nemmeno per gli appalti per cui c’è un contratto, le ditte hanno comunicato che non poteranno gli alberi con un’aggiudicazione d’emergenza, ma solo dopo avere firmato l’accordo definitivo». Da dove nasce l’impasse? «Alle aziende degli sfalci il Comune ha detto di avere commesso un errore contabile. Si sarebbero “dimenticati” di trasferire gli importi dal bilancio del 2018 a quello del 2019, motivo per cui ora ci stanno mettendo tanto, correndo ai ripari. A questo punto - continua Assartigiani - fino a quando non ci sarà un contratto per le potature, le ditte non interverranno». Tutto fermo per un pasticcio burocratico. L’ultimo di un’inverosimile sequenza. Già il mese scorso l’appalto per le potature cittadine era stato rinviato per l’ennesima volta, colpa di una svista sui «calcoli nei fogli excel».

I NUMERI
Nel frattempo pini e platani continuano a schiantarsi sulle strade dell’Urbe a una frequenza che ha stravolto ogni statistica. Nel 2014 a Roma erano caduti 12 tronchi, in tutta la città. L’anno dopo, il 2015, ne sono venuti giù 32, poi 48 nel 2016 e altri 41 nel 2017. Nel 2018, il boom: quasi 400 crolli. Un aumento del 730%. E altri 200 tronchi si sono schiantati solo nei primi mesi del 2019. L’ultimo incidente risale alla settimana scorsa, sul Lungotevere, quando un ramo si è staccato ed è precipitato su una famiglia di sette persone, colpendo una neonata. Senza uno sbuffo di vento o una goccia di pioggia. Quel platano, semplicemente, non veniva potato da anni. «Anche in estate possono crollare gli alberi, per diverse patologie», spiega Patrizio Zucca, presidente dell’Ordine dei dottori agronomi e forestali di Roma.

L’ALLERTA

Franco Milito è un esperto che ha lavorato per conto del Campidoglio per eseguire il monitoraggio su migliaia di fusti pericolanti in città. È l’agronomo che aveva dichiarato «da abbattere» l’albero che a febbraio si è schiantato a viale Mazzini, davanti alla sede della Corte dei conti, causando due feriti, uno molto grave. «Quando abbiamo iniziato il monitoraggio, la situazione era disastrosa - racconta - Ed è allarmante sapere che ancora oggi Roma è disseminata di alberi secchi. Tradotto: morti. E nessuno interviene. Assurdo vederli ancora ai margini delle strade, senza che si scorga un operaio. Se poi l’albero cade e fa male a qualcuno, mi chiedo, di chi è la responsabilità? L’urgenza è chiara». La soluzione? «Bisogna partire subito con i bandi e con i lavori. E servono investimenti: 100-110 milioni di euro per potare e abbattere ogni volta che serve. Finora purtroppo si è proceduto con le gare aggiudicate col massimo ribasso». E i risultati si vedono.
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Il Messaggero