Quando Roma (quella moderna) insegnava al mondo come si fanno i ponti

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Parlando con Tullia Iori - storica dell’ingegneria a Tor Vergata - si impara a vedere Roma in una prospettiva tutta diversa. In passato questa era la città non solo della cultura e della bellezza, ma anche dell’innovazione, nell’ingegneria e nelle costruzioni. E non ci riferiamo ai romani antichi, notoriamente grandi ingegneri, ma alla Roma dell’800 e del primo 900, quando si sono innalzati - ad esempio - ponti modernissimi che furono un modello per il pianeta intero. Come il ponte dell’Industria (del 1863) per il quale si adottò un nuovissimo sistema delle fondazioni: «Gli operai - spiega la professoressa Iori - lavoravano in una specie di bicchiere rovesciato sul fondo del fiume con l’aria pompata all’interno, per non far passare l’acqua e per farli respirare». O il ponte Palatino (anno 1890): «È fatto in ferro pudellato, non in acciaio». E soprattutto il Ponte Risorgimento, che all’epoca (era il 1911) fu il ponte ad arco unico più lungo del mondo e per farlo stare in piedi «fu inventato un uso completamente nuovo del cemento armato, una rivoluzione nella storia dell’ingegneria strutturale». Opere coraggiose, costruite in pochissimo tempo (ponte Risorgimento venne progettato e realizzato in appena 22 mesi), da una città piena di energia, capace di guardare al futuro. Sembra incredibile, ma è la stessa città che oggi su quei ponti non riesce neanche a fare un po’ di manutenzione.

pietro.piovani@ilmessaggero.it
 

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Il Messaggero