Più dimenticanze forse. Coperte, ogni volta, con un falso nella cartella clinica. Due biologi in servizio fino al 2014 nel Centro di procreazione medicalmente assistita del...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
LE VITTIME
Tre donne ora puntano il dito contro i camici bianchi. Si sentono danneggiate: il falso e poi l'inchiesta hanno di fatto bloccato il reimpianto dei rispettivi embrioni, facendo sfumare il sogno di diventare mamme. Il biologo Gaetano D. e la collega Roberta P., (non più in servizio nel centro), ora, rischiano di finire sotto processo. Il sostituto procuratore Claudia Alberti li ha accusati di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale e per di più in un atto pubblico. Spetterà ora al giudice per le indagini preliminari valutare se processare o meno i due specialisti. Le mancate mamme sperano in un processo, vogliono costituirsi parti civili nel procedimento. «Il cammino che porta alla fecondazione è lungo e delicato - sostengono - Vogliamo la verità. Ci sentiamo derubate del nostro sogno. Erano i nostri focolai di vita». Il caso delle false attestazioni scoperte nel centro di fertilità del Pertini, ora ammodernato e regolato da procedure più rigide, era stato svelato dai carabinieri dei Nas, e segnalato a piazzale Clodio, durante lo scandalo scoppiato nello stesso istituto, per lo scambio di un embrione. Un errore su una etichetta aveva portato a un impianto sbagliato e una donna ad avere due gemelli geneticamente non suoi, mentre la madre biologica li rivendicava, anche davanti ai giudici, inutilmente.
TROPPI SBAGLI
Un altro sbaglio della dottoressa Roberta P, che però ha sempre respinto responsabilità. L'errore, però aveva concluso a stretto giro l'inchiesta aperta a piazzale Clodio, era stato commesso sì «per negligenza e imprudenza» dalla dottoressa, ma senza volontà, quindi era impossibile configurare reati. Il primo caso di falso smaltimento di embrioni, finito invece al centro di una inchiesta, risale al 7 dicembre 2012. Lo firma il biologo. Che compie lo stesso errore anche il 7 marzo di due anni dopo, nel 2014. La collega Roberta P. sottoscrive di aver smaltito un embrione danneggiato (che invece era ancora conservato) il 25 novembre del 2013. Le imputazioni per i due medici sono uguali. Cambiano solo i nomi delle donne che sarebbero state danneggiate. «Il medico biologo in qualità di pubblico ufficiale - scrive la procura - attestava falsamente sulla scheda biologica di congelamento che gli embrioni precedentemente prelevati e sottoposti a crioconservazione si erano danneggiati durante la fase di scongelamento rendendo impossIbile il trasferimento in utero e per tale motivo erano stati smaltiti». «Circostanza - si chiarisce ancora - difforme dal vero in quanto gli embrioni erano ancora presenti all'interno dei contenitori di azoto liquido del centro».
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero