Roma, nel municipio sotto inchiesta: «Troppe pressioni su certi appalti»

«Su certi appalti sembravano... come dire... un po’ troppo premurosi. Insistevano troppo. Il sospetto che ci fossero altri interessi sotto, a qualcuno era...

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«Su certi appalti sembravano... come dire... un po’ troppo premurosi. Insistevano troppo. Il sospetto che ci fossero altri interessi sotto, a qualcuno era venuto». Gli uffici del XIV Municipio si sparpagliano nel grande parco del Santa Maria della Pietà, ex manicomio. Ed è qui, sotto la pioggia, mentre l’ennesimo ciclone giudiziario si è abbattuto sul Comune di Roma, portando all’arresto di dieci persone tra imprenditori e funzionari capitolini, che qualcuno rievoca episodi magari marginali che però, letti in controluce con le carte della nuova inchiesta, assumono significati diversi. E inquietanti.


Durante la pausa pranzo non si parla d’altro tra i dipendenti di questo distretto di Roma Nord: il giro di mazzette, i lavori mai realizzati, i tre colleghi indagati. È soprattutto un nome a circolare di bocca in bocca. Quello di Antonio Adamo, all’epoca dei fatti dirigente tecnico in forza al XIV Municipio, oggi manager del Dipartimento Mobilità e trasporti. Un tipo estremamente «disinvolto», dicono i colleghi, abituato a dare del «tu a tutti», dai politici agli imprenditori.

«UN ASSILLO AL TELEFONO»
A molti, certe confidenze, facevano comodo. Altri invece si erano insospettiti. Racconta Julian Colabello, presidente della Commissione Trasparenza del XIV Municipio, consigliere di maggioranza (in quota Pd) quando partirono le indagini della Finanza. «Quando si affrontavano certi argomenti, l’architetto Adamo sapeva essere estremamente pressante, quasi un assillo. Chiamava tutti al cellulare, a qualunque ora. Provai a dire che un comportamento del genere non era consono al ruolo che ricopriva. I tecnici non possono essere così insistenti con l’organo politico».
Quello strano attivismo dell’ex direttore della Uot venne notato anche da Valerio Barletta, minisindaco di Montemario dal 2013 al 2016. «Quando entrai in carica notai che nelle sue mani erano concentrati quasi un centinaio di lavori. Mi accorsi poi che alcune commesse erano state pagate senza essere mai state realizzate. Per questo mi rivolsi all’ex assessore Sabella per denunciare tutto in Procura».

E sì, perché le ditte coinvolte dall’inchiesta deflagrata ieri, in teoria, avrebbero dovuto rimettere a nuovo le scuole della periferia di Roma Nord. Installare le serrande elettriche, montare infissi d’acciaio nuovi di zecca, cambiare i condizionatori. Invece, secondo i pm, intascavano le commesse del Municipio, pagavano una tangente ai funzionari che avrebbero dovuto controllarli, e poi non facevano nulla. C’è poco da meravigliarsi, allora, se oggi due delle quattro scuole che avrebbero dovuto essere ristrutturate a regola d’arte hanno chiuso i battenti.


Alla “Monte Arsiccio”, borgata Ottavia, gli alunni non si vedono più da mesi. Nel vecchio stabile restano gli scheletri dei banchi accatastati nelle aule vuote. Piove dentro la palestra. Le finestre sono quelle (vecchissime) di sempre: non le ha cambiate nessuno. Poco distante, in via del Casale Sansoni, la scuola è stata smobilitata da un anno. Per evitare che la struttura andasse disabitata, è stata affidata a un gruppo di associazioni del quartiere. «Siamo noi - spiegano - che abbiamo pagato i lavori per liberare i tombini ed evitare che alla prima pioggia si allagasse tutto».

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Il Messaggero