L'operazione eseguita in maniera perfetta. E poi la sottovalutazione della ripresa. La vita di una sedicenne spezzata in un letto d'ospedale. Per il tribunale monocratico...
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IL DOLORE DELLA FAMIGLIA
Errori a catena che, stando alla conclusione del giudice di primo grado, avrebbero portato la giovane atleta in due settimane dal calvario alla morte. Un dolore mai superato per la famiglia. Il papà ieri piangeva fuori dall'aula, mentre la mamma e la nonna parlavano di una perdita che non si accetta, che lacera come il primo giorno.
LA VICENDA
I fatti risalgono al 2011. Il 10 dicembre, Cristina viene portata dai genitori all'ospedale di Civitavecchia: da giorni lamentava fortissimi mal di testa. I medici, dopo averle fatto una tac, le consigliano di andare a Roma, al San Filippo Neri, per una risonanza magnetica. Qui, dopo una serie di accertamenti, si decide di ricorrere alla chirurgia. Il 22 dicembre, la paziente viene operata una prima volta per rimuovere il tumore. A fine intervento, i chirurghi sono soddisfatti. Già dalla mattina dopo, però, Cristina inizia ad accusare fastidio alla vista. Un disturbo che i medici liquidano come «normale». Ma le condizioni sembrano precipitare. Per i dottori la paziente è spaventata, va solo stimolata a reagire. Il 26 dicembre la ragazza ha delle crisi, viene sedata e ricoverata in terapia intensiva. Altri accertamenti e un nuovo intervento, per la procura non necessario. Il coma è immediato. Il 2 gennaio Cristina muore. Assistiti dall'avvocato Maurizio Mazzi, i parenti decidono di presentare una denuncia. Ieri, dopo sei anni, i medici sono stati ritenuti responsabili del dramma.
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Il Messaggero