Con la fine del lockdown l'Appio-Tuscolano e Centocelle si ritrovano con più imprese (negozi in testa) in attività del passato. Garbatella e Tor Bella, invece,...
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Fase 2 Roma, nei negozi (ri)cambiano gli orari: le nuove regole fino al 21 giugno
Fase 2. Ristoranti, piscine e negozi: le nuove regole. E per gli acquisti la Regione Lazio consiglia il "personal shopper"
DUE VELOCITÀ
Nella Capitale, su 285mila imprese prese in considerazione, sono attive oltre 210mila. Cioè due terzi del totale. Nella fase 1, erano soltanto una su quattro. E guardando ai settori, sembrano lontani da una vera ripartenza il commercio (soprattutto al dettaglio) che vede almeno il 40% imprese ancora chiuse, il comparto che somma alberghi e ristorazione con tutta la loro filiera (soltanto il 16% è attivo) e le realtà dell'agricoltura o quelle legate all'attività sportiva, lo spettacolo e cultura. Queste ultime, le sole nella lista, a non poter riprendere ancora, come prevedono le regole del governo. Ecco il quadro generale, ma è guardando la mappa delle singole zone che si capisce come Roma si sta rimettendo in marcia. Come si sta ampliando lo iato tra le due parti della città.
Nel I Municipio il livello di attività del commercio è del 53,4%, 6mila realtà riaperte contro le quasi 11.500. Nel vicino II, in un'area molto residenziale come quella tra Salario e Trieste, la percentuale sale al 67,3. Secondo l'economista Rosario Cerra, presidente del Centro Economia Digitale, «il Centro paga la sua funzione di rappresentanza, dove non c'è più produzione, compresa quella immateriale, e ristoranti, alberghi e boutique sono di alta gamma. Ma oggi non ci sono più i clienti che possono permettersi quei servizi. Non dobbiamo ripartire da com'eravamo, ma studiare un nuovo modello. All'estero le grandi capitali hanno creato strutture che disegnano programmi di sviluppo». Poi ci sono Centocelle e Casalino, Tuscolano e Appio: queste zone della città si ritrovano in fase 2 con maggiore volume di business, perché molti piccoli imprenditori locali si sono riconvertiti verso le produzioni e i servizi che maggiormente il mercato chiede per affrontare la crisi generata dall'epidemia. Come le sartorie che realizzano mascherine, le imprese di pulizia che si sono aperte alle sanificazioni, i laboratori chimici che sintetizzano molecole per gli igienizzanti. Non si meraviglia della cosa Tagliavanti: «Perché in periferia c'è ancora la gente, che al Centro non c'è più. E quindi esiste un mercato naturale. E perché in queste zone, più vivibili e accessibili, si sono create nell'ultimo decennio almeno 100mila imprese». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero