Roma nel degrado, Vanzina risponde a Mimun: «Ho pensato di andarmene. Serve una svolta liberale per una città moderna»

Enrico Vanzina risponde al direttore del Tg5: "Tra chiesa e nobiltà nera non si è mai fatto largo una vera borghesia illuminata"

Roma nel degrado, Vanzina risponde a Mimun: «Ho pensato di andarmene. Serve una svolta liberale per una città moderna»
Prendo spunto dalla Lettera ai Romani dell'amico Mimun , pubblicata su questo giornale, il quale chiede ai nostri concittadini di stringersi a coorte per affrontare i male...

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Prendo spunto dalla Lettera ai Romani dell'amico Mimun , pubblicata su questo giornale, il quale chiede ai nostri concittadini di stringersi a coorte per affrontare i male endemici della capitale e mettere fine alla loro rassegnazione.


Lui dice di non aver mai pensato di lasciare Roma. Io invece sì. Stanco del suo naufragio civico, l'ho pensato moltissime volte. Ma poi, come ammetteva Ennio Flaiano, ogni volta che parto per qualche giorno, dopo poche ore non vedo l'ora di tornare a Roma. Come mai questo odio amore? La risposta è lo stesso Flaiano a darcela. Citando Sainte Beuve, il quale sosteneva che la vita sarebbe sopportabile se non ci fossero i piaceri, Flaiano dice che Roma diventa insopportabile perché offre soltanto divagazioni e piaceri. Cose che ammorbidiscono lo slancio vitale. Roma una città che non giudica e che assolve e quindi chi ci abita si sente come un cane senza collare, libero di oziare e perdere tempo in minutaglie esistenziali. Nessuno degli abitanti della capitale pensa di poterla capire, possedere, svelare e quindi la subisce con rassegnazione. Insomma Roma è una entità inafferrabile. Roma fa ai suoi cittadini un ricatto millenario. Dice loro: ti ho regalato tutta sta grande bellezza, ma che te frega del resto?

La lettera / Quello che i romani (non) fanno per la Capitale


Sono anni che rifletto anche io su questa questione. Messi da parte i luoghi comuni sul romano indolente, qualunquista, furbacchione, lazzarone , ecc. ecc. (cose false come tutte le cose un po' vere), sono arrivato ad una conclusione sociologica: Roma non funziona perché da noi non è mai nata una vera borghesia, come invece è avvenuto a Milano o in molte grandi città europee di altri paesi. I poli di attrazione della nostra città sono stati per secoli il potere della Chiesa e quello della Nobiltà nera. Questi due poteri assoluti hanno impedito alle classi borghesi di farsi largo, di trovare una identità e di contribuire allo sviluppo della nostra coscienza produttiva e civile.

 


Ho una moglie tedesca e so che in Germania l'etica protestante fa sentire ai cittadini il senso profondo del dovere. Qui a Roma, invece, un cattolicesimo male interpretato, per non agire, usa l'alibi del concetto di assoluzione delle nostre debolezze. Roma sprofonda perché nessuno sente sulla sua schiena il peso della responsabilità di migliorarla. Altrove, nei secoli, sono stati i borghesi ha farsi carico delle istanze sociali, a coltivare il senso delle spinte produttive e industriali, fatte di efficienza e voglia di innovare. Oltre a questo, altrove la borghesia ha costruito codici etici basati sul decoro, sul senso di pulizia, sulla necessità di non scaricare tutte le responsabilità sul Pubblico ma di indirizzarle con il contributo del Privato. E' la visione liberale che ha reso migliori tante altre capitali e che a Roma non è mai emersa.


Se posso portare un piccolo contributo al dibattito, limiterei il campo della esortazione mimuniana. Mi limiterei a spingere la borghesia romana che non esiste a esistere, a prendere coscienza della sua importanza. Invece di scappare a Sabaudia e Porto Ercole, di giocare a burraco e a a paddel nei circoli, i borghesi romani potrebbero ogni tanto farsi carico di istanze civili, culturali, sociali. Secondo me sarebbe la svolta moderna di una città che vive inchiodata al suo passato. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero