Città del Vaticano - Una incisione scavata nell'intonaco, precisa e netta. Una X sovrapposta alla lettera P. La combinazione di lettere dell'alfabeto greco che...
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Il criptoportico risalente alla seconda metà del I secolo fu rinvenuto in una zona compresa tra via Lucullo e Via Friuli negli anni Cinquanta durante i lavori di costruzione di un garage. «Fu un evento non marginale». Il corridoio nascosto faceva parte di una vasta proprietà indicata con il nome di Horti Sallustiani. Nei successivi lavori di riqualificazione ambientale nel 2006 furono individuati resti di ulteriori strutture antiche ma negli anni Cinquanta non furono fatte ricerche nel criptoportico. Solo negli anni Novanta l'archeologa Federica Festuccia ha potuto realizzare alcuni scavi per verificare lo sviluppo planimetrico del sito. Un decennio dopo è stata fatta un'altra campagna di studi dove gli esperti hanno analizzato, tra i graffiti trovati, anche quelli che si possono ricondurre al simbolismo cristiano e a quello ebraico.
Furono individuati una Menorah, la lampada ad olio a sette braccia, e un monogramma di Cristo, collocato non in un ambiente catacombale ma in una area pubblica. Guiducci si è soffermato sul contesto, mettendo in collegamento il graffito con il quadro complessivo del ritrovamento. Il graffito a suo parere resta opera di un cristiano che probabilmente era a servizio della famiglia imperiale e che voleva trasmettere un messaggio ad altri cristiani. Un messaggio cifrato. Una segnalazione di identità e di presenza.
Proprio sotto la sede dell’ambasciata Usa, in Via Veneto, in corrispondenza alla parte confinante con via Friuli, dove si trovavano gli Horti Sallustiani, abitati in epoca romana da personaggi altolocati dell'Impero, è stato ritrovato un Chrismon, il monogramma di Cristo, ritenuto importante perché getta una nuova luce sulla diffusione della religione cristiana agli albori. Il graffito rinvenuto in un criptoportico è considerato dagli studiosi piuttosto unico perché dimostrerebbe come la religione cristiana venisse professata anche tra le classi agiate romane e non solamente dai ceti più poveri e dagli schiavi. Tale genere di graffiti, infatti, costituivano una sorta di messaggio in codice.
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Il Messaggero