Roma, ciclista ucciso a Boccea, incastrato il pirata: «Sono fuggito per paura»

Roma, ciclista ucciso a Boccea, incastrato il pirata: «Sono fuggito per paura»
In nemmeno 48 ore è arrivata la svolta nelle indagini sul ciclista investito e ucciso da un'auto pirata sabato sera in via Boccea. I vigili urbani, grazie al fiuto...

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In nemmeno 48 ore è arrivata la svolta nelle indagini sul ciclista investito e ucciso da un'auto pirata sabato sera in via Boccea. I vigili urbani, grazie al fiuto investigativo e ai filmati di alcune telecamere della zona, hanno rintracciato e fermato un 35enne che, dopo un lungo interrogatorio negli uffici del comando generale in piazza della Consolazione, ha confessato. «Ho avuto paura, mi dispiace tanto - ha ripetuto tra le lacrime -. Mi è preso il panico. Dopo il fatto ero disperato e sono fuggito». Ma riavvolgiamo il nastro di questi ultimi due giorni. Sono passate da poco le 19.30 di sabato, quando Giovanni Pala, 56 anni, geometra, uscito per un giro in bici a due passi dalla casa della mamma viene travolto da una macchina fuggita poi a tutta velocità. A trovare il corpo sul ciglio della carreggiata, un ragazzo, un minorenne (in bici anche lui) che ha dato subito l'allarme.


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Sul posto gli agenti del Gruppo Monte Mario si sono messi immediatamente sulle tracce del pirata, hanno sequestrato frammenti della macchina rimasti sull'asfalto, pezzi di un fanale e uno specchietto. Ed è stato proprio lo specchietto a far chiudere il cerchio agli investigatori. E si perché durante queste 48 ore è arrivata una segnalazione di una macchina bruciata a tre chilometri dal luogo dell'incidente. Una Fiat Panda (modello vecchio) a cui mancava proprio lo specchietto, come quello trovato dai vigili urbani. E così nel giro di poco sono risaliti al proprietario: un 35enne che vive a due chilometri di distanza da dove è avvenuto l'impatto con la bicicletta. Sposato, due figli, un buon lavoro (è un tecnico, ripara impianti elettrici).

LA RICOSTRUZIONE

Le indagini si sono concentrate in un arco temporale ben preciso, poco più di un ora. E si perché Giovanni che, in questo periodo viveva con la madre a due passi da dove è avvenuta la tragedia (località Valle Santa, anche se era residente in zona Marconi), ha fatto una telefonata alle 18.10: «Mamma sto facendo una pedalata e poi torno». Ma a casa Giovanni non è più tornato. Alle 19.30 viene trovato cadavere. Fra la telefonata e l'incidente è trascorsa, appunto, poco più di un'ora. Un lasso di tempo ben preciso che ha permesso di concentrare l'attività investigativa in quella fascia oraria. Anche se la svolta è arrivata dal rinvenimento dell'auto carbonizzata. In un primo momento il 35enne si era giustificato dicendo: «Me l'hanno bruciata». Ma le contraddizioni nel suo racconto erano tante, troppe. Alla fine ha ceduto. «Non l'ho visto, avevo il sole negli occhi». Al momento è indagato, sarà la Procura oggi a stabilire responsabilità e provvedimenti. La notizia è iniziata a girare, alcuni residenti, ascoltati, hanno raccontato «non ci posso credere, è un bravo ragazzo. Perché non si è fermato?». Fatto sta che il giovane tecnico non si è fermato, ha inserito la marcia e ha proseguito la corsa. Ora bisognerà capire se a dare alle fiamme la Panda sia stato lui, o se sia stato aiutato. Dettagli che non spostano di molto la sua posizione. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero