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Nessuna strada di Roma - e quindi del mondo - è come via Margutta. Non porta da nessuna parte, ma non è una strada senza uscita perché a percorrerla fino in fondo si ritorna dove si era prima, cioè a via del Babuino. È un luogo segreto raggiunto solo da chi lo cerca, non ci si passa, non è un transito ma una meta. È una via a cui sono stati dedicati tanti libri, compreso un romanzo in cui assurge al ruolo di protagonista, come se fosse un personaggio: “La strada sognata”, esordio letterario dalla linguista Valeria Della Valle, un prezioso documento di come via Margutta è stata negli anni tra il fascismo e il dopoguerra e di come ora, inevitabilmente, non è più. È rimasto certo il fascino dei cortili e dei palazzi, che Andrea Camilleri descrisse così: «Un aereo intreccio di scalette, di terrazze, di terrazzini, di altane, di minuscoli tasselli di verde, di orti, di giardinetti, un vero e proprio paese sospeso nell’aria». Ma uscendo dai palazzi si torna nella strada di oggi, orfana di quella comunità unica che un tempo la popolava: non solo gli artisti, ma anche gli artigiani dell’indotto, i corniciai, i falegnami, le botteghe specializzate nell’imballare i quadri dei pittori per le spedizioni, gli omini tuttofare, e poi la moltitudine dei residenti, oggi spariti per fare posto ai turisti. Un formicaio nascosto, che non esiste più. «Né si sentono più - nota Valeria Della Valle che in quel formicaio è nata e cresciuta - i rumori di scalpelli e mantici, gli odori di vernici e acqua ragia. E tuttavia questa strada resta ancora così bella».
Il Messaggero