Roma, malato di cancro va in Molise per curarsi: «In tutto il Lazio non c'era posto»

Roma, malato di cancro va in Molise per curarsi: «In tutto il Lazio non c'era posto»
Due mesi fa a un settantenne di Boccea diagnosticarono un tumore alla gola. Fu operato al Sant'Eugenio, ma fu chiaro che l'intervento non era risolutivo e serviva un...

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Due mesi fa a un settantenne di Boccea diagnosticarono un tumore alla gola. Fu operato al Sant'Eugenio, ma fu chiaro che l'intervento non era risolutivo e serviva un ciclo di radioterapia. Da allora, insieme alla moglie, ha iniziato il suo inaccettabile pellegrinaggio da un ospedale all'altro: per fare la radioterapia servono due esami, la risonanza magnetica e la Pet (tomografia a emissione di positroni), ma da nessuna parte ha trovato posto. Sembra normale che per un malato oncologico immediatamente si crei un percorso chiaro di esami e terapie che non lasci soli pazienti e famiglia: a Roma non è così.


«Alla fine mio marito è stato costretto a fare la risonanza magnetica a pagamento, in una struttura privata. Per la Pet, invece, ieri è dovuto andare fino ad Isernia, perché a Roma e nel Lazio non c'era posto. Guardi, mio marito per 40 anni ha lavorato in banca, non ha mai mandato un certificato, ha sempre pagato le tasse, come è giusto. Ora che ha avuto bisogno dello Stato, è stato lasciato solo», racconta la signora Gianna, moglie di Paolo Santolini. Rivediamo il percorso a ostacoli: due mesi fa Santolini va dal medico di famiglia, che constata il problema alla gola, lo manda subito da uno specialista prima al distretto e poi da questo viene inviato al Sant'Eugenio. Purtroppo il tumore è inoperabile, viene eseguita una tracheotomia e da quel giorno Santolini vive con una cannula alla gola. Serve urgentemente iniziare un ciclo di radioterapia.

L'INCERTEZZA
E qui, nonostante il supporto del medico di famiglia, inizia il calvario tra una struttura all'altra. Prima Santolini prova al Sandro Pertini, di qui lo indirizzano al San Filippo Neri. «Lì ci spiegano che devono parlare con un altro medico e dicono di ritelefonare che ci faranno sapere; io chiamo tutti i giorni, alla fine dopo due settimane ci spiegano che per iniziare la radioterapia mio marito deve fare la risonanza magnetica e un esame che si chiama Pet. Dove, chiediamo? Di fatto scopriamo che dobbiamo arrangiarci. Proviamo al Recup, proviamo all'Ifo, ma alla fine non ne usciamo. Intanto il tempo passa, mio marito non riesce più a parlare e dopo due mesi ancora aspetta. Alla fine decidiamo di pagare per la risonanza magnetica da un privato 250 euro, mentre per la Pet mio marito va in provincia di Isernia. Le pare possibile? A Roma non c'è posto, si va in Molise».


Commenta Pier Luigi Bartoletti, presidente della Fimmg (federazione dei medici di base): «Non è accettabile che nel Lazio non vi sia un percorso chiaro per i malati oncologici, il sistema deve cambiare. Le famiglie vengono lasciate al loro destino, se il signor Paolo non avesse avuto qualcuno ad aiutarlo, come avrebbe fatto?». Dalla Regione replica il direttore della cabina di regia della sanità, Alessio D'Amato: «Ciò che è avvenuto è indegno. A Roma ci sono sette macchinari per la Pet, un altro è a Latina, devono lavorare di più e meglio. Inoltre, abbiamo autorizzato altre due Pet, una all'Umberto I, l'altra a Viterbo. Apriremo anche ad altre strutture accreditate per la parte oncologica. Più in generale stiamo organizzando percorsi per i malati oncologici, già lo abbiamo fatto per quelli con tumore alla mammella, al colon retto e al polmone».

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Il Messaggero