Sarà pur vero, come diceva Eduardo, che gli esami nella vita non finiscono mai, ma le pagelline di rendimento che il Comune di Roma compila per i suoi 24 mila dipendenti...
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I dati sono questi e si trovano nero su bianco nell’ultimo Rapporto annuale sui premi di produttività, che si riferisce al 2016: i dipendenti capitolini che hanno svolto un lavoro giudicato «non sufficiente/non adeguato», facendo una media tra le varie categorie, sono appena il 2,6% del totale. I pochissimi “bocciati”, spiegano i sindacati, non sono riusciti a intascare il premio solo perché si sono assentati troppo. Gente in maternità, con impedimenti fisici o infortuni prolungati. Tutti gli altri? Promossi, con varie sfumature di valutazione, dal «sufficiente» al «discreto», e su a salire fino al «buono» e al voto massimo, quello per le prestazioni di qualità «elevata». Come fossimo a scuola. Solo che in questo caso, tanta prodigalità nei giudizi, si trasforma in impegni di spesa per le malconce casse capitoline.
IN PALIO
La torta da spartirsi è da 44,9 milioni di euro l’anno, solo per ricompensare la «produttività». Ovviamente chi svolge un lavoro «sufficiente» prende meno di chi lavora a ritmi «elevati». Chi viene bocciato, invece, non becca nulla. Ma si tratta, per l’appunto, di una porzione microscopica del corpaccione dei dipendenti pubblici di Roma Capitale. I quali, con questi voti eccelsi, difficilmente passeranno «notti di lacrime e preghiere», come cantava Venditti nella Notte prima degli esami.
Va detto che la giunta di Virginia Raggi ha cambiato il salario «accessorio» nel 2017 e che il nuovo meccanismo è entrato in vigore solo a luglio dell’anno scorso. Tocca capire, quindi, se con il nuovo sistema aumenterà anche il rigore nelle valutazioni. Certo, a leggere in controluce i dati del 2016 qualche dubbio, sulla possibilità di miglioramenti, viene. Con il vecchio meccanismo, che la sindaca grillina ha ereditato, i premi calcolati in base al «rendimento dell’ufficio», cioè alla struttura dove il dipendente lavora, corrispondevano a circa la metà dell’«extra» in busta paga; l’altra metà era legata a una valutazione individuale firmata da un superiore. Con la riforma di Raggi, invece, la «produttività dell’ufficio» incide sul 90% del premio di rendimento complessivo, mentre solo il 10% del bonus ricompensa le prestazioni dei singoli.
Spulciando i dati del 2016, si scopre che proprio la «quota» legata ai risultati dell’ufficio è quella che finora ha premiato di più i dipendenti. Difatti, prendendo in considerazione solo questa voce, il tasso di “bocciati”, nel 2016, è stato dell’1,3%. I sindacati difendono la riforma. Per Giancarlo Cosentino, leader della Fp-Cisl romana, il nuovo sistema sarà «la cartina tornasole della qualità dei servizi, non serve una caccia alle streghe». E Francesco Croce della Uil difende la “generosità” dei voti: «Il territorio di Roma è molto complesso, i risultati dei dipendenti sono eccellenti», dice lui.
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Il Messaggero