Roma, beffa sui salari comunali: premi per tutti ma servizi al palo

Roma, beffa sui salari comunali: premi per tutti ma servizi al palo
Sarà pur vero, come diceva Eduardo, che gli esami nella vita non finiscono mai, ma le pagelline di rendimento che il Comune di Roma compila per i suoi 24 mila dipendenti...

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Sarà pur vero, come diceva Eduardo, che gli esami nella vita non finiscono mai, ma le pagelline di rendimento che il Comune di Roma compila per i suoi 24 mila dipendenti farebbero arrossire il preside dal rigore più scialbo. Tutti promossi, o quasi. E praticamente tutti intascano, quindi, i premi di produttività che in teoria dovrebbero essere agganciati al merito e a risultati portati a casa in termini di servizi. Invece i premi abbondano, mentre i servizi affondano, come ha certificato anche di recente l’Agenzia comunale per il controllo e la qualità dell’offerta pubblica. Le opzioni, a questo punto, sembrerebbero due: o i romani, per rievocare un tweet famoso della senatrice grillina Paola Taverna, non se ne sono accorti ma vivono in Svizzera, oppure i criteri per valutare la «produttività» di impiegati, vigili e insegnanti non sono, come dire, dei più inflessibili e forse, al contrario, peccano di generosità.


I dati sono questi e si trovano nero su bianco nell’ultimo Rapporto annuale sui premi di produttività, che si riferisce al 2016: i dipendenti capitolini che hanno svolto un lavoro giudicato «non sufficiente/non adeguato», facendo una media tra le varie categorie, sono appena il 2,6% del totale. I pochissimi “bocciati”, spiegano i sindacati, non sono riusciti a intascare il premio solo perché si sono assentati troppo. Gente in maternità, con impedimenti fisici o infortuni prolungati. Tutti gli altri? Promossi, con varie sfumature di valutazione, dal «sufficiente» al «discreto», e su a salire fino al «buono» e al voto massimo, quello per le prestazioni di qualità «elevata». Come fossimo a scuola. Solo che in questo caso, tanta prodigalità nei giudizi, si trasforma in impegni di spesa per le malconce casse capitoline.

IN PALIO
La torta da spartirsi è da 44,9 milioni di euro l’anno, solo per ricompensare la «produttività». Ovviamente chi svolge un lavoro «sufficiente» prende meno di chi lavora a ritmi «elevati». Chi viene bocciato, invece, non becca nulla. Ma si tratta, per l’appunto, di una porzione microscopica del corpaccione dei dipendenti pubblici di Roma Capitale. I quali, con questi voti eccelsi, difficilmente passeranno «notti di lacrime e preghiere», come cantava Venditti nella Notte prima degli esami.

Va detto che la giunta di Virginia Raggi ha cambiato il salario «accessorio» nel 2017 e che il nuovo meccanismo è entrato in vigore solo a luglio dell’anno scorso. Tocca capire, quindi, se con il nuovo sistema aumenterà anche il rigore nelle valutazioni. Certo, a leggere in controluce i dati del 2016 qualche dubbio, sulla possibilità di miglioramenti, viene. Con il vecchio meccanismo, che la sindaca grillina ha ereditato, i premi calcolati in base al «rendimento dell’ufficio», cioè alla struttura dove il dipendente lavora, corrispondevano a circa la metà dell’«extra» in busta paga; l’altra metà era legata a una valutazione individuale firmata da un superiore. Con la riforma di Raggi, invece, la «produttività dell’ufficio» incide sul 90% del premio di rendimento complessivo, mentre solo il 10% del bonus ricompensa le prestazioni dei singoli.


Spulciando i dati del 2016, si scopre che proprio la «quota» legata ai risultati dell’ufficio è quella che finora ha premiato di più i dipendenti. Difatti, prendendo in considerazione solo questa voce, il tasso di “bocciati”, nel 2016, è stato dell’1,3%. I sindacati difendono la riforma. Per Giancarlo Cosentino, leader della Fp-Cisl romana, il nuovo sistema sarà «la cartina tornasole della qualità dei servizi, non serve una caccia alle streghe». E Francesco Croce della Uil difende la “generosità” dei voti: «Il territorio di Roma è molto complesso, i risultati dei dipendenti sono eccellenti», dice lui.
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Il Messaggero