Alcol, parla Simona di Vigna Clara: «All'inizio era un gioco poi mi sono rovinata: spendevo 300 euro a settimana»

«Ho cominciato a 15 anni con gli aperitivi: bevevo per rimorchiare e farmi accettare»

Alcol, parla Simona di Vigna Clara: «All'inizio era un gioco poi mi sono rovinata: spendevo 300 euro a settimana»
«Avevo 20 anni. Buttavo dai 200 ai 300 euro a settimana per gli aperitivi. Li facevo praticamente ogni giorno. Mi piaceva perché così mi sentivo accettata dal...

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«Avevo 20 anni. Buttavo dai 200 ai 300 euro a settimana per gli aperitivi. Li facevo praticamente ogni giorno. Mi piaceva perché così mi sentivo accettata dal gruppo. Tiravo giù un bicchiere dietro l'altro. Spritz, birra, liquori, cocktail, poco importava. L'importante era stare lì, in mezzo agli amici. Faceva parte del rimorchio tra ragazzi e ragazze». Simona (nome di fantasia, ndr) ha 43 anni. Vive a Vigna Clara con la famiglia. Oggi ha una bimba e ha deciso di curarsi nel Crarl, il Centro di riferimento alcologico della Regione Lazio. «All'epoca non sapevo ancora che lavoro fare, avevo continui stati d'ansia, e bere mi calmava. Solo che poi è diventata una vera e propria dipendenza - racconta - Il rapporto con i miei era pessimo, li rigettavo, mi dava fastidio persino salutarli. Eppure volevano darmi una mano».

Per più di venti anni Simona è andata avanti così, con una vita che a mano a mano si sdoppiava: da una parte c'era lei, il suo lavoro d'ufficio, dall'altra quello che le sembrava un momento di relax ma che tale non era: la sera, quando tornava a casa, si stendeva sul divano e beveva quanto poteva: vino, anche quello più commerciale che poteva trovare nel negozietto che rimaneva aperto fino a tardi, superalcolici lasciati nella credenza. E poi la scusa dell'aperitivo con i colleghi a cui mai e poi mai avrebbe detto di no. «Certe volte lo proponevo io, altre facevo in modo che gli altri lo organizzassero - prosegue la donna - Quando bevevo un po' troppo arrivavo tardi al lavoro. Mi inventavo continuamente scuse e il capo, qualche volta, me lo ha fatto notare».

 

 

La vita lavorativa di Simona, poi, si è intrecciata con una storia d'amore che, lei stessa, ha definito tossica. «Cosa avevamo in Comune noi due? Forse il divertimento della bevuta, nulla di più. È stato un lasciarsi e riprendersi continuo». Poi, a un certo punto, un nuovo amore e arriva la figlia. Passa il tempo: la ragazza diventa una donna e ha 43 anni. Sua madre sa tutta la sua storia, la guarda negli occhi e le dice di andare dal medico di base. «È stato lui a indirizzarmi al Crarl. Era il 2020, proprio in mezzo la pandemia. Ma con la scusa del Covid durò proprio poco: sono rimasta in cura per 15 giorni». Il lockdown ha reso difficile la vita di Simona. Era tornata a bere. «Forse peggio di prima - dice - Così, a un certo punto, mi sono fatta coraggio e sono ritornata al Crarl. Mi sentivo troppo, troppo stanca, non ce la facevo più a condurre questa vita: sembrava che qualcosa mi mangiasse da dentro». Si commuove, il suo racconto si interrompe più volte, specie quando dice che si stava per deteriorare una volta per tutte il rapporto con la figlia. «Ero però leggermente consapevole del danno che stavo facendo, tanto da avere continue crisi di pianto. E ho sempre preso il trasporto pubblico per non guidare e tentare così di non fare male agli altri - continua - Ora sono tornata al Crarl più convinta. Pensavo fosse impossibile ma da più di tre settimane ormai non bevo: prendo un farmaco che non mi fa venire il desiderio dell'alcol e faccio un percorso psicoterapeutico. La cura sembra funzionare. Non mi fermo qui: voglio continuare a vivere».

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Il Messaggero