Roma, rissa in piazza Cavour: aggressione per «dominare la piazza»

Roma, rissa in piazza Cavour: aggressione per «dominare la piazza»
Un rituale punitivo e «inquietante», uno stile di vita improntato «alla prevaricazione violenta nei confronti di soggetti ritenuti diversi perché...

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Un rituale punitivo e «inquietante», uno stile di vita improntato «alla prevaricazione violenta nei confronti di soggetti ritenuti diversi perché provenienti da altri contesti sociali». E una convinzione assurda: conquistare una zona nel centro di Roma, piazza Cavour, di fronte al Palazzo di giustizia, diventata ritrovo serale di gruppi di giovanissimi. Le parole che i giudici del Riesame usano nei confronti dei protagonisti dell'aggressione ai danni di un sedicenne, picchiato selvaggiamente da una decina di coetanei il 14 ottobre all'ombra del Palazzaccio, sono pesantissime.

I magistrati sono certi che «situazioni analoghe si verificheranno di nuovo». Tre responsabili del pestaggio sono minorenni, gli altri quattro sono neo-maggiorenni. Tutti quanti sono ai domiciliari per tentato omicidio. Due di loro hanno chiesto di tornare in libertà, ma i giudici hanno confermato la misura proposta dalla pm Elisabetta Ceniccola. Si tratta di S. C. e M. M.

Hanno quasi ucciso un ragazzino colpevole di aver infastidito una loro amica, agendo insieme ai complici come uno squadrone compatto e convinti di essere padroni del territorio.
«Andatevene, qui comandiamo noi», ha detto uno degli indagati alla vittima e ai suoi compagni, prima di colpire con un casco uno di loro. Poi, più di dieci persone si sono accanite contro il sedicenne e lo hanno massacrato con pugni, calci, colpi di casco e di catena, cinghiate, addirittura coltellate. Non l'hanno ucciso per un soffio: perché la lama non ha raggiunto organi vitali.

BRUTALITÀ
Il Riesame non fa sconti. I ragazzi hanno agito «con brutalità, determinazione e ferocia». Il tutto per decretare il possesso del territorio, dominare «una piazza che ritenevano evidentemente di loro esclusiva spettanza». Inutili le giustificazioni di uno dei due ragazzi che hanno chiesto di tornare in libertà: «Mi sono avvicinato per dire che queste cose non si fanno e che il loro gesto non è stato alquanto carino», ha raccontato in interrogatorio. I giudici non gli hanno creduto. Spiazzante, invece, la dichiarazione dell'altro. Interpellato dal gip sui motivi dell'aggressione, non ha saputo dare una spiegazione. «Non so se l'ho fatto per vigliaccheria... Erano miei conoscenti, quindi sono intervenuto», ha detto. Correndo verso gli amici, si è sfilato la cintura e ha colpito la vittima. «Un intervento impulsivo e immotivato», sostengono i magistrati, visto che il ragazzo non si sarebbe nemmeno preoccupato di capire cosa fosse successo.


Un'azione «caratterizzata dall'uso disinvolto della violenza per dimostrare agli altri componenti del gruppo adesione e fedeltà ai comuni propositi». Per il Riesame, questo rapporto di soggezione rispetto alle dinamiche di gruppo è «allarmante e suscettibile di sfociare in altre azioni aggressive». Da chiarire, infine, le dinamiche dell'aggressione. Non è ancora stato stabilito chi abbia colpito il minore con una coltellata. La tesi della difesa cozza con l'accusa. I ragazzi, infatti, sostengono che l'arma fosse di proprietà della vittima e che il giovane sia stato ferito mentre loro tentavano di disarmarlo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero