Ci sono almeno due modi per vedere la ripartenza delle attività commerciali della Capitale e della sua provincia: il numero dei negozi che hanno riaperto e l'indice dei...
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NEGOZI
Partiamo dai dati relativi al commercio cosiddetto di dettaglio: delle 15 mila attività censite a Roma e provincia (l'80% rientrante nella Capitale) il 97% ha riaperto i battenti mentre la restante parte - circa 450 negozi - non solo non hanno tirato su le saracinesche ma è probabile che non lo farà più. In media il crollo dei fatturati si attesta intorno al 70% che si traduce in una perdita di almeno 175 milioni di euro sul fatturato mensile rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Ci sono tuttavia delle variabili legate alla posizione: le attività di quartiere e quelle periferiche - complice lo smart-working per molti dipendenti e liberi professionisti - hanno registrato un calo del 55% sui fatturati che sale invece all'85% nelle zone turistiche o in quelle più centrali dove insistono anche numerose aziende.
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Segue poi il settore della ristorazione e dei pubblici esercizi: bar, bistrot, laboratori alimentari. In questo caso contando quanto hanno incassato le 25 mila attività di Roma e provincia la Confcommercio stima che il 96% delle caffetterie ha riaperto mentre nella ristorazione solo l'89% e se i guadagni dei primi sono scesi del 45% rispetto a un anno fa, quelli dei secondi hanno segnato un -65%. Risultato generale? Ad andare in fumo sono stati circa 250 milioni di euro. E il totale sommando il commercio al dettaglio e gli esercizi di somministrazione conta un meno 425 milioni di euro in un mese. «Senza un'inversione di tendenza nei consumi o senza un intervento serio con finanziamenti a fondo perduto - commenta il direttore della Confcommercio Pietro Farina - delle 15 mila imprese rischiamo di perderne 3 mila con un calo del 20%».
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Analisi diversa va invece fatta sulle attività dedicate alla cura della persona: parrucchieri, barbieri, centri estetici ma solo per quelle realtà medio-grandi, analizza la Confartigianato. «Da maggio a oggi gli associati con queste strutture - spiega il presidente Andrea Rotondo - hanno gestito bene le nuove disposizioni. E solo a maggio in due settimane hanno raggiunto il fatturato dello stesso periodo dello scorso anno». Che ammonta considerate le 9.373 imprese legate al benessere a più o meno 50 milioni di euro. Il risultato oltre che a fronte di un'elevata richiesta post lockdown è stato possibile grazie «all'utilizzo del turnover - conclude Rotondo - l'apertura durante i fine settimana e l'abitudine a lavorare su appuntamento. Il personale è stato completamente richiamato dalla cassa integrazione». Tuttavia anche in questo settore non sono mancate le criticità, soprattutto per le piccole realtà come i parrucchieri con ad esempio due postazioni per il lavaggio che hanno risentito della crisi. In prospettiva futura, l'andamento di queste attività potrebbe comunque decrescere. In sostanza, una piega, un taglio un colore, un trattamento al corpo se dirimenti per molte persone all'inizio della Fase 2 potrebbero diventare accessori - e dunque non necessari - nei mesi a venire.
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Il Messaggero