Quella lapide dimezzata senza più storia

Quella lapide dimezzata senza più storia
La grande tristezza  delle lapidi a discutibili miti, e comunque al tempo che fu, ora monnezza @giuliapompili ...

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La grande tristezza 

delle lapidi a discutibili miti,
e comunque al tempo che fu, ora monnezza
@giuliapompili


Nell'ufficio della Asl di via Tripoli c'è un bassorilievo scolpito su pietra nera, che ritrae un uomo di profilo. Risale con ogni probabilità ai primi decenni del Novecento. Dalla targa in marmo sottostante capiamo che lì si vuole tramandare la memoria di tal Alessandro Paganelli, o almeno così si può presumere, perché la targa è leggibile soltanto a metà. La taglia proprio nel mezzo, infatti, un pannello in alluminio aggiunto in epoca recente per dividere la stanza in due ambienti. Perciò gli utenti in coda allo sportello del secondo distretto Asl riescono a leggere il seguente testo: «...a memoria …ndro Paganelli ...mando l'umanità ...ando per lei ...rò dell'infanzia ...rito dalla fortuna ...ò il suo cuore ...amore in altri cuori». Per sapere il resto bisognerebbe andare dall'altro lato dello sportello, oltre il vetro, dove siedono gli addetti della Asl.

Chi fu questo Alessandro Paganelli? Non lo sappiamo, una rapida ricerca su internet e su qualche catalogo bibliografico non ha portato risultati. Sicuramente è qualcuno che fece del bene agli altri, forse ai bambini. Oggi nessuno lo ricorda più, e la stele che avrebbe dovuto perpetuarne la fama ormai è solo un ingombro sulla parete, ignorato quotidianamente, e comprensibilmente, da centinaia di persone che nella testa hanno pensieri ben più urgenti e vitali. Quella lapide dimezzata per un benefattore ormai nell'oblio ci trasmette un senso di mestizia, ci costringe a fare i conti con l'infinita vanità del tutto. E rende più malinconiche anche le inaugurazioni di nuove targhe e monumenti a personaggi oggi conosciuti e amati, ma tra cento anni chissà. Del resto Cola di Rienzo non è il nome di una strada piena di negozi?

pietro.piovani@ilmessaggero.it  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero