Si aggiravano nei giorni precedenti agli incendi. Due uomini a passeggio tra le sterpaglie che crescono ai bordi della via Pontina. Non ci sono telecamere da quelle parti, nessun...
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LA PAURA
«Noi le nostre case non le lasciamo. Da qui non ci muoviamo - raccontano i rom di Castel Romano - Anche se abbiamo avuto tanta paura nei giorni scorsi con il fuoco che si avvicinava sempre più al nostro campo. Qui ci sono tutte le nostre cose». Molti di loro sono nati e cresciuti in Italia o comunque sono a Roma da oltre trent'anni. Più di 1.300 persone completamente abbandonate a se stesse. Eppure questo campo, considerato ormai uno tra i più grandi d'Europa, è stato per anni al centro dell'attenzione non solo della cosiddetta Cupola romana ma anche delle istituzioni (che con tutti i finanziamenti, oltre 32 milioni di euro, arrivati dal Governo - durante l'emergenza nomadi - avrebbero dovuto fare grossi cambiamenti, pochi invece se ne vedono). «Abbiamo cercato di spegnere le fiamme - raccontano ancora spaventati - ma era impossibile. Per giorni siamo rimasti bloccati, intrappolati. Nessuno poteva raggiungerci. Ma la cosa che ci preoccupa è che gli incendi non sono finiti ogni giorno scoppiano all'improvviso da punti diversi».
FILI ELETTRICI E RIFIUTI
Container, baracche e rifiuti ovunque, fra questi giocano i bambini. Camminano a piedi scalzi su rottami di ferro arrugginito e saltano sui cavi elettrici che portano la corrente. Molti non vanno a scuola «siamo lontani da tutto e per portarceli ci vogliono i soldi», raccontano alcuni abitanti arrivati un paio di anni fa dall'insediamento abusivo di Tor Pagnotta. «Quando eravamo sulla Laurentina era tutto più facile: avevamo le nostre baracchette di legno, i più giovani andavano a scuola, procurarsi l'acqua era semplice perché la fontana era a due passi e per fare la spesa non dovevi prendere la macchina perché c'erano i negozi vicino. Adesso per fare qualsiasi cosa è necessaria la macchina: siamo a 13 chilometri da Roma, bisogna andare sulla Pontina e uscire a piedi si rischia di essere investiti».
NUOVE FIAMME
Ieri l'ennesima colonna di fumo si è alzata a 500 metri dall'ingresso dell'insediamento. C'è voluto un doppio intervento in poche ore dei vigili del fuoco per evitare che si propagasse fino alle case-container. Dopo aver domato un rogo il giorno prima, è stato necessario un altro intervento. L'odore acre e denso continua ad espandersi nelle vicine zone abitate rendendo l'aria giorno dopo giorno sempre più irrespirabile, costringendo i residenti a barricarsi in casa. Anche se ormai sono davvero troppe le zone diventate ormai parte di un paesaggio avvolto dai fumi. Una mappa sempre più fitta di piccole terre dei fuochi che stanno portando all'esasperazione i cittadini. Nonostante il fatto che da tempo la Commissione europea abbia acceso da tempo i riflettori su questa realtà. «L'incendio che ha portato alla chiusura della Pontina è una faccenda diversa però da quelli che provengono dall'accampamento. È un continuo inquinando dell'aria», è il grido d'allarme dei residenti. E sì perché il fuoco mangia tutto, dai cavi di rame agli elettrodomestici, dagli indumenti impregnati di sostanze chimiche alle carcasse di automobili abbandonate. Ma anche: travi di legno, residui di plastica, pneumatici, bottigliette usati per gli spray, pezzi di eternit. «Anche se le case non sono attaccate al campo ci sono giorni in cui è davvero difficile tenere le finestre - racconta Roberto Mastro, che vive poco dopo Tor de' Cenci - Ci vorrebbero dei controlli fissi, molte cose si sarebbero potute evitare».
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Il Messaggero