I pomeriggi trascorsi su una panchina, all'ombra dei pini di Villa Borghese. E gli occhi puntati sui gruppi di ragazzini che corrono dietro un pallone da calcio. Lo sguardo...
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LA VIOLENZA
I fatti risalgono all'estate 2012. Marco è a Villa Borghese con un gruppo di amici. I ragazzini si sono dati appuntamento al solito posto: uno spiazzo non troppo affollato dove possono giocare a calcio. Su una panchina, non distante, c'è un signore indiano seduto all'ombra. Si chiama George, è solo, sembra seguire con attenzione ogni movimento del pallone. In realtà, non toglie gli occhi di dosso ai bambini. Alla fine del match, Marco si allontana per bere da una fontanella. Una mano gli tocca la spalla, una voce pronuncia il suo nome: «Marco, vieni con me». Il bimbo si volta di scatto, dietro di lui c'è George. Tenta di fuggire, ma lo straniero lo obbliga a seguirlo e gli chiude la bocca con una mano, per evitare che, urlando, Marco possa attirare l'attenzione dei passanti. Lo fa sedere accanto a lui. La mano è sempre stretta sul viso. «Ti amo, da qui non ti muovi», dice l'imputato. Il bambino tenta di reagire, ma sottrarsi all'abbraccio violento di George sembra impossibile. Saranno gli amici a liberarlo. Non vedendo tornare Marco, infatti, i compagni iniziano a cercarlo. Scrutano ogni angolo del parco, finché lo trovano: le mani dell'uomo sono ancora strette sulla bocca del bimbo, mentre lo straniero gli parla a un palmo dal volto. I genitori dell'undicenne, dopo essere stati avvisati, sporgono denuncia. L'imputato viene indagato e rinviato a giudizio. Secondo il pm Gianluca Mazzei, come si legge negli atti della Procura, avrebbe «costretto Marco a intrattenersi contro la sua volontà. Approfittando di circostanze tali da ostacolare la privata difesa». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero